Wednesday, December 30, 2009

L'uomo Donna

Siamo così convinte di dover fare dell'Uomo come essere maschile un solo fascio?!? Vivere accanto ad un essere maschile dalla tua stessa sensibilità, se non superiore, a volte, ti rende più fiduciosa nel prossimo. Anche nel prossimo che hai proprio accanto.
Ed invece di ricevere sms di buongiorno sdolcinato come tutti i corteggiatori sono soliti fare, io ricevo sms di primo mattino come questo: leggi l'articolo su Repubblica (...), sono disgustato ed indignato!
E tu Donna che non puoi fare a meno di essere colta, informata e soprattutto sensibile quanto lui corri a leggere l'articolo per poterlo commentare con lui.
Ed invece rimani alquanto disgustata e senza parole.

CARO direttore, è domenica 27 dicembre. Eurostar Bari-Roma. Intorno a me famiglie soddisfatte e stanche dopo i festeggiamenti natalizi, studenti di ritorno alle proprie università, lavoratori un po' tristi di dover abbandonare le proprie città per riprendere il lavoro al nord. Insieme a loro un ragazzo senza braccia.

Sì, senza braccia, con due moncherini fatti di tre dita che spuntano dalle spalle. È salito sul treno con le sue forze. Posa la borsa a tracolla per terra con enorme sforzo del collo e la spinge con i piedi sotto al sedile. Crolla sulla poltrona. Dietro agli spessi occhiali da miope tutta la sua sofferenza fisica e psichica per un gesto così semplice per gli altri: salire sul treno. Profondi respiri per calmare i battiti del cuore. Avrà massimo trent'anni.

Si parte. Poco prima della stazione di (...) passa il controllore. Una ragazza di venticinque anni truccata con molta cura e una divisa inappuntabile. Raggiunto il ragazzo senza braccia gli chiede il biglietto. Questi, articolando le parole con grande difficoltà, riesce a mormorare una frase sconnessa: "No biglietto, no fatto in tempo, handicap, handicap". Con la bocca (il collo si piega innaturalmente, le vene si gonfiano, il volto gli diventa paonazzo) tira fuori dal taschino un mazzetto di soldi. Sono la cifra esatta per fare il biglietto. Il controllore li conta e con tono burocratico dice al ragazzo che non bastano perché fare il biglietto in treno costa, in questo caso, cinquanta euro di più. Il ragazzo farfugliando le dice di non avere altri soldi, di non poter pagare nessun sovrapprezzo, e con la voce incrinata dal pianto per l'umiliazione ripete "Handicap, handicap".

I passeggeri del vagone, me compreso, seguono la scena trattenendo il respiro, molti con lo sguardo piantato a terra, senza nemmeno il coraggio di guardare. A questo punto, la ragazza diventa più dura e si rivolge al ragazzo con un tono sprezzante, come se si trattasse di un criminale; negli occhi ha uno sguardo accusatorio che sbatte in faccia a quel povero disgraziato. Per difendersi il giovane cerca di scrivere qualcosa per comunicare ciò che non riesce a dire; con la bocca prende la penna dal taschino e cerca di scrivere sul tavolino qualcosa. La ragazza gli prende la penna e lo rimprovera severamente dicendogli che non si scrive sui tavolini del treno. Nel vagone è calato un silenzio gelato. Vorrei intervenire, eppure sono bloccato.

La ragazza decide di risolvere la questione in altro modo e in ossequio alla procedura appresa al corso per controllori provetti si dirige a passi decisi in cerca del capotreno. Con la sua uscita di scena i viaggiatori riprendono a respirare, e tutti speriamo che la storia finisca lì: una riprovevole parentesi, una vergogna senza coda, che il controllore lasci perdere e si dedichi a controllare i biglietti al resto del treno. Invece no.
Tornano in due. Questa volta però, prima che raggiungano il giovane disabile, dal mio posto blocco controllore e capotreno e sottovoce faccio presente che data la situazione particolare forse è il caso di affrontare la cosa con un po' più di compassione.

Al che la ragazza, apparentemente punta nel vivo, con aria acida mi spiega che sta compiendo il suo dovere, che ci sono delle regole da far rispettare, che la responsabilità è sua e io non c'entro niente. Il capotreno interviene e mi chiede qual è il mio problema. Gli riepilogo la situazione. Ascoltata la mia "deposizione", il capotreno, anche lui sulla trentina, stabilisce che se il giovane non aveva fatto in tempo a fare il biglietto la colpa era sua e che comunque in stazione ci sono le macchinette self service. Sì, avete capito bene: a suo parere la soluzione giusta sarebbe stata la macchinetta self service. "Ma non ha braccia! Come faceva a usare la macchinetta self service?" chiedo al capotreno che con la sua logica burocratica mi risponde: "C'è l'assistenza". "Certo, sempre pieno di assistenti delle Ferrovie dello Stato accanto alle macchinette self service" ribatto io, e aggiungo che le regole sono valide solo quando fa comodo perché durante l'andata l'Eurostar con prenotazione obbligatoria era pieno zeppo di gente in piedi senza biglietto e il controllore non è nemmeno passato a controllare il biglietti. "E lo sa perché?" ho concluso. "Perché quelle persone le braccia ce l'avevano...".

Nel frattempo tutti i passeggeri che seguono l'evolversi della vicenda restano muti. Il capotreno procede oltre e raggiunto il ragazzo ripercorre tutta la procedura, con pari indifferenza, pari imperturbabilità. Con una differenza, probabilmente frutto del suo ruolo di capotreno: la sua decisione sarà esecutiva. Il ragazzo deve scendere dal treno, farsi un biglietto per il successivo treno diretto a Roma e salire su quello. Ma il giovane, saputa questa cosa, con lo sguardo disorientato, sudato per la paura, inizia a scuotere la testa e tutto il corpo nel tentativo disperato di spiegarsi; spiegazione espressa con la solita esplicita, evidente parola: handicap.

La risposta del capotreno è pronta: "Voi (voi chi?) pensate che siamo razzisti, ma noi qui non discriminiamo nessuno, noi facciamo soltanto il nostro lavoro, anzi, siamo il contrario del razzismo!". E detto questo, su consiglio della ragazza controllore, si procede alla fase B: la polizia ferroviaria. Siamo arrivati alla stazione di (...). Sul treno salgono due agenti. Due signori tranquilli di mezza età. Nessuna aggressività nell'espressione del viso o nell'incedere. Devono essere abituati a casi di passeggeri senza biglietto che non vogliono pagare. Si dirigono verso il giovane disabile e come lo vedono uno di loro alza le mani al cielo e ad alta voce esclama: "Ah, questi, con questi non ci puoi fare nulla altrimenti succede un casino! Questi hanno sempre ragione, questi non li puoi toccare". Dopodiché si consultano con il capotreno e la ragazza controllore e viene deciso che il ragazzo scenderà dal treno, un terzo controllore prenderà i soldi del disabile e gli farà il biglietto per il treno successivo, però senza posto assicurato: si dovrà sedere nel vagone ristorante.

Il giovane disabile, totalmente in balia degli eventi, ormai non tenta più di parlare, ma probabilmente capisce che gli sarà consentito proseguire il viaggio nel vagone ristorante e allora sollevato, con l'impeto di chi è scampato a un pericolo, di chi vede svanire la minaccia, si piega in avanti e bacia la mano del capotreno.

Epilogo della storia. Fatto scendere il disabile dal treno, prima che la polizia abbandoni il vagone, la ragazza controllore chiede ai poliziotti di annotarsi le mie generalità. Meravigliato, le chiedo per quale motivo. "Perché mi hai offesa". "Ti ho forse detto parolacce? Ti ho impedito di fare il tuo lavoro?" le domando sempre più incredulo. Risposta: "Mi hai detto che sono maleducata". Mi alzo e prendo la patente. Mentre un poliziotto si annota i miei dati su un foglio chiedo alla ragazza di dirmi il suo nome per sapere con chi ho avuto il piacere di interloquire. Lei, dopo un attimo di disorientamento, con tono soddisfatto, mi risponde che non è tenuta a dare i propri dati e mi dice che se voglio posso annotarmi il numero del treno.

Allora chiedo un riferimento ai poliziotti e anche loro si rifiutano e mi consigliano di segnarmi semplicemente: Polizia ferroviaria di (...). Avrei naturalmente voluto dire molte cose, ma la signora seduta accanto a me mi sussurra di non dire niente, e io decido di seguire il consiglio rimettendomi a sedere. Poliziotti e controllori abbandonano il vagone e il treno riparte. Le parole della mia vicina di posto sono state le uniche parole di solidarietà che ho sentito in tutta questa brutta storia. Per il resto, sono rimasti tutti fermi, in silenzio, a osservare.

da La Repubblica, QUEL RAGAZZO SENZA BRACCIA SUL TRENO DELL'INDIFFERENZA di Shulim Vogelmann

Thursday, December 24, 2009

Cose sporche

"Dimmi cose sporche", era la richiesta che odiavo più di tutte. La prima volta fu davvero difficile farlo. Avevo la mente completamente vuota e, se me lo chiedevano nel bel mezzo di un rapporto sessuale, questa richiesta mi distruggeva la concentrazione. Mi congelavo e il cuore mi sprofondava nelle viscere. Semplicemente, non sapevo che cosa dire. Cosa diavolo dite voi? Scoprii che guardare dei film porno un po' mi aiutava a prepararmi a situazioni come questa, ma mi ci vollero mesi di lavoro nel bordello per arrivare a sentirmi a mio agio e non in preda a una risatina isterica quando dicevo: "Forza, dai ragazzo, scopami più forte! Più veloce!", e tutte le altre battute idiote che possono venire in mente. Mi aiutava ripetere frasi di questo tipo di continuo ad alta voce, forte e chiaro, alcune volte persino davanti allo specchio. Ben presto smisi di sentirmi imbarazzata ma impiegai molto più tempo a far mia questa cosa rispetto a ogni altra tecnica imparata in quel periodo.

Al pari del parlare sporco c'era anche la solita vecchia domanda: "Qual è la cosa più perversa che tu abbia mai fatto?"

Adesso, cos'è che una persona normale può definire perverso? Questa domanda mi lasciava sempre interdetta. non voglio sembrare blasé ma, quando hai fatto così tante cose bizzarre e meravigliose, qual è la definizione di perverso? Nel mio mondo, dopo un po' anche le oscenità più macroscopiche finiscono per diventare routine!

Ditemi. Essere ammanettata alla sbarra di una barca è più perverso che colpire un avvocato con una bacchetta? Magari con lui vestito con biancheria rosa tutta pizzi e merletti? Uno spettacolino lesbo è più perverso che sodomizzare un uomo con un pene finto? E cosa ne pensate di vestirsi di lattice dalla testa ai piedi? O di un'orgia? La lista è infinita: allora qual è la cosa più perversa che io abbia mai fatto?


Parrocchiane, gentil sesso facilmente impressionabile e perbeniste (anche se solo d'apparenza), astenersi dalla lettura di FUCKING GIRL, di Miss S..

Ammetto di averlo letto tutto d'un fiato e di aver fantasticato parecchio sulle scene narrate, durante i miei sogni notturni (e anche diurni).

Tuesday, December 22, 2009

Ricordi nella neve

Paola lavora nel mio ufficio da una vita. Una vita vera: è stato il suo primo impiego ed ora le mancano 2 anni alla pensione. Dice che sia volata, che abbia visto tanti di quei volti andare e venire, che abbia avuto una scuola severa e dura, dei dirigenti di un tempo.
Incorruttibile, è l’unica che riceve un pensiero natalizio dai clienti. Non dovrebbe accettare nulla, dice, ma intanto sorride soddisfatta.
Ha vissuto un periodo decoupage notturno, in cui fabbricava chincaglierie per l’ufficio e non solo: non riusciva a dormire, la notte aiuta a pensare, soprattutto se si lavora con le mani.
Oggi in pausa caffè mi ha raccontato il suo ricordo più bello. Sotto la neve. La sua mano nella mano di suo padre, bambina all’uscita dalle prove di una recita scolastica. Una passeggiata silenziosa in tarda serata, sotto una miriade di fiocchi di neve e l’immagine più forte nella sua memoria: solo le sue piccole orme e quelle enormi di suo padre, girando la testolina indietro.

Sabato ho corso a perdifiato nella neve alta, giornata glaciale ma con uno splendido sole.
Non avevo mai fatto l’angelo nella neve prima, ho mollato ogni freno. Bambina per pochi secondi, forse per due minuti nella neve. Avrei prolungato l’attimo se non fosse arrivato Lupobilly desideroso di sdraiarsi in un’ala dell’angelo da me tracciata, leccandomi la faccia. Quel cane testardo mi ha reso quel momento magico.

Tuesday, December 15, 2009

Parola d'ordine: cattiveria

E nel cammino del nostro ritorno dalla mensa aziendale, mi ritrovai immersa in una conversazione animata dalle mie compagne di merenda, anzi, di pranzo.
Nello sproloquio di ognuna sulle proprie esperienze in fatto di uomini e relativa situazione attuale, disastrosa, baciata dalla fortuna o inesistente, una sola verità: non se ne può fare a meno.
Solidarietà femminile: esiste, ma solo in pochissimi casi. Vera amicizia, unite contro lo stesso nemico, unite contro la razza maschile.
Ed è soprattutto contro questo “essere” incomprensibile e dalle poche funzioni vitali che ci si unisce per consigliare, aiutare, spronare, inducendo la “compagna di guerra” in difficoltà a combattere con quelle armi che si pensa di non poter avere o di non poter usare.
Dotazione per la soldatessa: un po’ di sana cattiveria (leggi “fare la stronza”).
Del perché questa sia l’arma sempre scarica e più inefficace non se n’è parlato. Ma era sottinteso.

Thursday, December 3, 2009

Na' camurria

Sta arrivando il freddo anche nella punta del nostro stivale. I tavolini fuori dai bar resistono, come resistono coloro che decidono di sedercisi sorseggiando un caffè, sperando in un raggio di sole che li riscaldi. L'importante è prendere un pò d'aria di mare e non abbandonare troppo in fretta le abitudini estive.
La Calabria mi sta entrando pian piano nel cuore. Come la sua gente e le sue abitudini.
Mi sono persa nei gesti di un pescatore ieri sera dopo il lavoro, in quei gesti semplici di uomo di mare, vestito come i marinai raffigurati nei libri di fiabe per bambini, dolcevita in lana pettinata sottile ceruleo e pantaloni in coste di velluto marroni: arrampicato su una scala in legno fissava le luci di Natale all'ingresso della sua trattoria.
Il pescatore non mi ha fatto scegliere su un menù, fattomi sedere in questa semplice trattoria mi ha chiesto se mi fidavo di lui. Si, e mi ha promesso di cucinarmi solo pesce pescato la mattina stessa.
Attorno tavoli di vecchietti soli e famiglie di questo piccolo paesino sulla costa cosentina, tutti intenti a mangiare silenziosi ed a guardare il telegiornale delle 20 su Raiuno. Come negli anni '50, quando di televisioni ce n'erano poche, in bianco e nero, e solo chi aveva un'attività poteva permettersela. Riuniti davanti allo schermo a commentare le parole udite.
Ieri sera ero intenta a commentare insieme al mio vicino di tavolo, un signore dal dialetto calabrese stretto ma dalla mentalità ampia, il servizio sullo scandalo dei transessuali e politici a Roma. Il signore schifato si è pronunciato: "ce vole la casa chiusa, cumu facevamu nuantre da picciotti pè iere a buttane. Tutti intra a fare schefee, se nò rimane nà camurria".

Thursday, November 26, 2009

Again and again

Ed eccomi ancora una volta di fronte a loro, questa volta come i più tenaci e forti fans, sotto al palco.
Ce l'ho fatta, pogare su Personal Jesus cantato dai Depeche davanti a me era un sogno, non per tutti...




La mia canzone, proprio la mia, HOME. Ho constatato che Martin ne potrebbe sapere più di me in quanto a stile e fashion trends... Notare la mise di ieri sera...



Wednesday, November 18, 2009

Nebbia e decollete con plateau

Appese ad una lavagna in sughero in camera da letto, le mie prime foto: 2 immagini in bianco e nero della prima ecografia che fece mia madre nel lontano '82. Puntate in mezzo ad altre immagini, più tarde, che raccontano la mia breve ed intensa storia, un titolo lungimirante di un articolo strappato da qualche mensile modaiolo che avrò letto: IL GENIO PRENDE FORMA. COME VOLARE MENTRE TUTTI CAMMINANO.

Un po' pretenzioso, ma accostare l'immagine di me ancora ignara di tutto e di tutti (anzi, non proprio formata) alle parole PRENDE FORMA, mi sembra, ancora adesso che le riguardo sulla parete, un lampo di follia geniale.


Eh si nota quando ho tempo, tempo per i miei capricci, per guardare con attenzione me stessa nel corso degli anni. Sì, perché le pareti di casa mia sono le mie avventure, le più belle.

Mattino nebbioso, in Val Padana. Colpita come più della metà dei terrestri dall'influenza (non so se A, B o C ma comunque scelgo la busta C, come "col cazzo che vengo al lavoro con la febbre").

Ho cucinato con particolare lentezza e tranquillità la colazione (anche perché non ho tutta questa energia per fare le cose più velocemente), ultimato un libercolo che mi perseguitava da qualche settimana mentre affrontavo i bisogni primari nel mio caldo e familiare bagno, risposto e scritto a qualche e-mail di lavoro (si affaticano a farti credere che nessuno è indispensabile, allora spiegatemi perché dovete inibirmi ancora di più il sistema immunitario anche durante la convalescenza).


Lost in Fashion, di Silvia Paoli. Da leggere solamente nel caso voi siate fashion addicted, desiderose di lavorare nel mondo della moda (vi farà cambiare idea) ed alla ricerca degli ultimi must have delle fashion writers. Consigliato sotto un ombrellone nei mesi estivi, perché fa sorridere ed è alquanto leggero, o durante una sofferente malattia, perché continua a farvi pensare al lavoro anche quando siete sotto le coperte con 38 di febbre…bisogna pur rimanere sul pezzo.

Vorrei capire se il romanzo sia un'autobiografia un po' colorita della nota giornalista caporedattrice moda di Vanity Fair. Interessante, in quanto Irene, la protagonista della storia narrata, trascorre momenti di forte scontro tra corpo e spirito, incerta sul futuro da scegliere: mondo della moda o massaggiatrice?!? Ed io: mondo della moda o piccola narrante\ficcanaso di origini campagnole?!? Credo che la seconda scelta implichi, però, un'ulteriore ricerca: uomo prestante dagli occhi chiari in grado di rendermi felice allungando un po' del Dio denaro (scrivere non renderebbe quanto vorrei)…e non solo (devo pur goderne…).


Scriverò a Silvia Paoli: "Cara Silvia, lavoro in una delle sue aziende moda preferite, nella quale ogni giorno progettiamo e produciamo quei splendidi blazer e cappotti in cachemire di cui lei, scrive, non può fare a meno. Vorrei chiederle, con molto rispetto e discrezione, perché nel libro conclude scegliendo il mondo della moda…ma nella realtà sta seguendo un corso per insegnante di Pilates, dimettendosi dall'incarico al giornale. Forse è bene far sognare le lettrici che la strada percorsa sia, comunque, quella giusta e convincerle che è bene tenere i piedi ben piantati per terra? A tal proposito…compro almeno due paia di scarpe, rigorosamente col tacco, nuove al mese… Crede che questo possa aiutare a tenere i piedi in scarpe sbagliate ma, illudendoci, giuste? Poi ora che è trendy il decollete e sandalo con plateau, ho la falcata ancora più felina e sicura… ma forse nell'ambiente sbagliato".

Monday, November 16, 2009

I-tunes è un pò il nostro cuore

"Quando persi sotto tante stelle, ci chiediamo cosa siamo venuti a fare". Elisa canta. "Che cos'è l'amore, stringiamoci più forte ancora, teniamoci vicino al cuore". Giuliano canta con Elisa. Ed è una sera di nebbia autunnale. Come tante altre che ho vissuto, ma ognuna sempre diversa.
"Eppure sentire dei sogni in fondo ad un pianto". Elisa continua a cantare. "C'è un senso di te", c'è un senso di me, soprattutto di me, in ogni serata che trascorro, diversa una dall'altra, diverso il cuscino in cui dormire questa notte, diversa la città, diverso il mio cuore che brontola o dorme sereno aspettando il ritorno.

Stasera non devo tornare, sono a casa.

"Ci sono giorni in cui mi sveglio spento, e tutto sommato provo a starci dentro" [...] "finchè arriverà il mio momento, tu stammi accanto" una sorpresa, piccola cosa, ma sentire lui che la cantava a squarciagola con me in macchina al ritorno da una passeggiata in alta montagna è stata una carezza al cuore, forse ad entrambi i cuori. Non avevo mai duettato prima, men che meno con un compagno di viaggio (forse non solo di viaggio) che non sapevo nemmeno conoscesse una canzone così poco commerciale.
"Le incomprensioni sono così strane, bisognerebbe evitarle sempre...domani invece devo ripartire [...] il mio pensiero ti andrà a cercare tutte le volte che ti vorrei parlare...." Zampaglione è un romanticone, questa canzone mi ricorda la delicatezza delle parole e dei gesti, soprattutto dei miei, dei nostri.

Sistemare la libreria di I-Tunes durante un lunedì sera di inizio influenza potrebbe avere effetti indesiderati (o cercati). Ripercorrere le proprie emozioni, le storie d'amore e d'amicizia, i loro momenti, ogni canzone ha un colore ed una smorfia in volto.
Stop me dei Planet Funk mi fa sorridere, è stato il mio primo bagno di notte a Forte dei Marmi, in mutande, beccata in pieno da un bagnino notturno, sgattaiolai sotto ad un pedalò rovesciato stringendomi le tettine come due rubinetti dell'acqua calda, ma il freddo "porco" rimase....
When Love Takes Over, David Guetta. L'estate 2009, il mio culone al sole e vento delle Cinque Terre con le infinite parole della Vero al mio fianco, recidiva "ma lo ami o non lo ami?". Di cosa potranno mai parlare due amiche mentre prendono il sole immerse in un quantitativo imbarazzante di Australian Gold?!? L'uomo stronzo di turno e le tecniche per arginarlo, come aumentare il livello di melanina prima che arrivi l'ultimo giorno di vacanza, cosa ci si è portate in valigia e come vestirsi e truccarsi la sera stessa per uscire a cena.

"Ho perduto la mia libertà....ho cercato l'amore negli occhi di tutte le donne, baciando le labbra di chi non ne da, ho dormito per terre straniere coperte di foglie, cercando l'altra metà" mi ricorda lui, non proprio Cesare Cremonini, ma L'Altra Metà.
"Camminando più veloce dell'ombra al mio fianco", un uomo aspettava il mio canto, nonostante sia stonatissima...ma ha pur avuto il coraggio di cantare con me canzoni a sorpresa!!!

Saturday, November 14, 2009

Patati da 'a Sila


Quando mi è stato detto che non potevo più rimandare il viaggio di lavoro in Calabria, ne ho preso atto come si prende atto del dover prendere una medicina rivoltante da assumere più volte al giorno pur di guarire.
Sveglia ancora prima dell'alba per prendere il primo volo alle 7.00, tutto questo per poter arrivare in tempo al primo appuntamento. Scalo a Roma Fiumicino, pari ad una bastonata nei denti, proprio appena riuscita ad addormentarti sul primo volo quando, all'improvviso, una voce squillante di stuart baritono ti avvisa che stiamo iniziando la discesa su Roma.
Ultimo volo in cui non riesci ad addormentarti, controlli alcune cosette utili ai fini dello scontro sul ring coi clienti, finisci di leggere il quotidiano datoti in omaggio e ricomincia la discesa su Lamezia Terme. Calabria, arrivo.

Partenza con piede sbagliato: non posso pretendere di essere accolta, all'uscita dall'aeroporto, da palme e vegetazione rigogliosa, sole caldo sulla mia pelle color latte (poco prima che vada a male). Però, potevo pretendere di non essere investita da secchiate d'acqua e vento gelido.

Questa settimana si è rivelata un ottimo antidoto alla mia ignoranza. Si, perchè io faccio parte dei Tommasi che non sanno quello che non vedono e, ahimè, non ci credono.

La Calabria è una terra meravigliosa e sconosciuta. Conosciamo le spiagge, soprattutto la costa tirrenica, il clima meraviglioso ed il mare. Ma questo è solo una piccola parte.
Il cuore della gente che vive, nata qui, è, forse, quello più pulsante in tutta Italia: ospitalità come sacro valore, amore per la propria terra, rispetto per le tradizioni che non sono viste come un ostacolo alla contemporaneità ma un passaporto vincente per affrontare meglio il futuro con la sicurezza del passato, quello buono.
I territori più nascosti, non volontariamente, della Calabria sono quelli a cui non appartiene il mare: la montagna.
L'Aspromonte è un nome che si ricorda, non positivamente. Catena montuosa reggina, era il nascondiglio perfetto all'epoca dei sequestri degli anni '80 e '90. Oggi non ci si nasconde più: parco nazionale, tenta di farsi conoscere comunicando con i pochi mezzi e media a disposizione, che sono quasi inesistenti. Difficile trasformare nella mente della gente le stupende grotte rocciose ex meta di malviventi in un paradiso naturalistico.
Quando giovedì mattina ho attraversato l'altopiano de La Sila per raggiungere Crotone, mi si è aperto davanti agli occhi uno spettacolo naturalistico che nulla invidia alle Alpi. Colori autunnali vivi, cielo terso, pascoli di ovini, laghi dispersi in fondo a vallate da scenari lunari. Io, ignorante, non sapevo che La Sila per i calabresi è l'alterego delle Dolomiti per noi gente del nord. Ma sapevo che qui si coltivano le famose patate silane, quelle rossicce e grandi, saporite. A pranzo mi appropinquo ad un'osteria a Camigliatello Silano, Peccati di Gola, dove mi servono un piatto degno di chi vuol rimanere leggero: maialino silano alle braci con patate silane saltate. 5,00€. Mai mangiate patate così buone. E mai speso così poco per uscire e non riuscire a riallacciami i pantaloni.

Sunday, October 25, 2009

Aiutatemi, vi prego!!!

Sto attraversando un periodo NO o, per capirci meglio, un periodo sfigato.

Di quelli in cui sei perennemente in allerta, nervosa, in agguato. Il problema è capire per quale grosso e spaventoso pericolo mi si stanno raddrizzando così tanto le antenne. Mah, si starà avvicinando il 21 dicembre 2012.

In ordine.

Il vetro anteriore dell’auto aziendale grossolanamente crepato causa sasso scalfito da una ruota di camion che procedeva innanzi a me prima del sorpasso, segue grosso sgagazzo per il rumore e la crepa che pian piano si allargava ed allungava durante il viaggio.

Appuntamento dall’estetista di fiducia, ceretta all’inguine. 7 estetiste in un piccolo loculo-locale adibito ad istituto di bellezza. Mi capita l’unica su 7 non delicata, quella giovane giovane, appena assunta, alle prime armi. “Ti sto facendo male eh?” sogghigna nel mentre. Io, sudando caldo per il dolore e cercando di trattenere le grida ad ogni strappo, “si, molto”. Lei procede come se niente fosse. Devo trovare un modo per chiedere al momento della prenotazione telefonica di allontanare la giovane biondina da me al mio arrivo.

Dopo 2 anni di servizio la piastra per capelli super tecnologica non si accende, proprio il giorno in cui avrei dovuto avere capelli lisci, profumati ed invidiabili. Provo a sbatterla contro qualsiasi superficie dura, durissima, prenderla a calci. Deve essere un problema non risolvibile con la solita “botta”. Però adesso come faccio? Mi sta aspettando un essere maschile dopo lunghi periodi di astinenza e sembro un riccio. Potrei farmi asfaltare. In fondo dopo si appiattiscono anche loro, poveretti.

Saturday, October 24, 2009

Amici miei (atto unico)


E' un atto unico, lungo una vita... almeno spero. Zingarate di gruppo poche, molte a coppia mista.
Riguardare le foto al ritorno dalle nostre divertenti prestazioni è proprio come vedere alcune scene del celebre film degli anni '70 di Mario Monicelli.
Anche tra noi cala il silenzio al ritorno dalle zingarate, silenzio che vuol dire ritorno alla normalità, alla quotidianità ed all'amarezza di ciò che ognuno di noi vive non per scelta.
Ci si cerca per star bene, per evadere dalla serietà che ci costringiamo a far nostra durante il giorno. "Sparare cazzate in discorsi intelligenti" è la nostra qualità migliore.
E siamo in quattro come rimasero i celebri amici dopo la morte del giornalista Perozzi, l'io narrante del primo atto.
Lei si innamora, perde la testa, sparisce fra i suoi pensieri e le sue lacrime, proprio come l'archittetto Melandri che "aveva visto la Madonna". Ma torna sempre, rinsavisce, torna a fare la zingara ed a divertirsi.
Io sono apparentemente la più seria, che si rivela la più folle del gruppo, come il professor Sassaroli. Peccato che non possa vantarmi di avere "molte nipoti da parte di fava" (nel mio caso "molti nipoti da parte di patata").
Il conte Lello Mascetti è colui che più mi dà corda: nonostante tutti i suoi difetti, mantiene alta la sua dignità, non accetta elemosine, accetta l'ospitalità ma non le collette. Proprio colui che guarda gli altri lavorare, è quello più abile a far risparmiare.
E poi c'è Il Necchi: cinico e maschilista convinto. Un folle, che avverte i segnali di cambiamento nella propria vita un giorno si ed uno no. Ora ha preso un patentino come dog-sitter: sentiva il bisogno di un contatto "più umano" di quello con gli umani stessi.
Quando penso che alcuni aspetti della mia vita sembrino la sceneggiatura di un film non mento a me stessa.
Mi piace guardare il mio film: è SPASSOSO.

Sunday, October 18, 2009

Scelte (molto?) spirituali

Eremita= religioso che sceglie di vivere appartato in luoghi remoti.
Giornata di sabato, dopo una settimana di forzate pubbliche relazioni in giro per l'Italia= fare l'eremita.
Nessun luogo remoto, solo il tepore ottenuto dal camino acceso di casa mia ed il divano di fronte. Poche letture, alternarsi di un libro poco impegnativo che mi faccia spensierare e sorridere
(è il turno di Lost in Fashion di Silvia Paoli) ed uno da concentrazione (Le quattro casalinghe di Tokyo di Natsuo Kirino). Inframmezzare il tutto con qualche sms ad amiche e parenti, per marcare il territorio. Messaggio subliminare da trasmettere: non mi sono dimenticata di voi, vi voglio bene, ma non ho la forza nemmeno questo week end di alzarmi dal divano.
Fare qualcosa con le mani: cucinare ed impastare (scaricare lo stress da qualcosa andato storto durante la settimana dando cazzotti all'impasto), fare qualche servizietto da Cenerentola-colf (sfregare sempre più forte da procurare qualche scintilla, come se il soprammobile fosse il tuo capo insaziabile).
Pensare, cencando di farlo riguardo a qualsiasi cosa tranne il lavoro. Devo pur rilassarmi!
Valutare in quale locale poter andare in tarda serata, per farmi vedere almeno dagli amici più cari e non indurli ad etichettarmi come una morte bianca (il lavoro uccide anche l'anima, non solo il corpo).

Di religioso c'è ben poco, se non il silenzio che deve regnare in casa durante il giorno di eremitaggio. Anzi, di religioso c'è l'obiettivo che mi pongo: attendere l'avvento dell'Età dello Spirito, sono stanca di vivere in questa Età dell'Oro. Mi procura troppo stress.
Come Gioacchino da Fiore, attendo tempi migliori influenzando i tempi che vivo di oppressione.
Risultato: alle 9 di sera sono ancora immersa sotto una calda coperta di pile sul divano, tisana drenante bollente sul tavolino a fianco, cani stecchiti dal sonno ai piedi, libro non impegnativo in mano.
Sto lottando contro la mia crisi economica (non esco, non spendo) e contro la mia crisi spirituale (due parole con me stessa).
Ed anche per questa settimana amici & Co. cercheranno l'annuncio sul giornale locale: Allefer, ennesima morte bianca.

Thursday, October 15, 2009

Manuale della giovane pezzente

La giovane pezzente alloggia in un hotel a quattro stelle, pagato dall'azienda, e viaggia su un auto aziendale, quest'ultima station wagon, come se dovesse portare con sè chissà quale bagaglio. Lavora nel mondo della moda, ma di griffato può permettersi ben poco, se non super scontato ed omaggiato, ancora una volta, dall'azienda. Il bagaglio è solitamente solo uno, formato da "abiti" che sono vere e proprie "divise", da dover indossare durante l'orario di lavoro come miglior maschera alla sua stanchezza e voglia di fuga. Sembra quasi sempre una persona seria e sicura di sè con quel sorriso e cappotto di cashmere.
Ma il meglio di sè, la giovane pezzente, riesce a darlo fuori dalle spese rimborsate dall'azienda.
Imparerà a contenere la sua smisurata passione per le scarpe provando ogni modello l'avesse fatta innamorare a prima vista dalla vetrina: entrerà in negozio, "buonasera (pausa), vorrei provare quel paio di decollete in vetrina....porto il 39". Le indosserà entrambe, se le guarderà allo specchio e chiederà il prezzo. Le risponderanno "questo è l'ultimo modello di Prada di questa stagione, 427,00€". Sorriderà e con
nonchalance dirà "sono bellissime, ci penso e torno per prenderle". Non tornerà mai più in quel negozio. Anzi, farà in modo di non passarci più davanti.
La giovane pezzente sa che questo può essere fatto soltanto in città lontane dalla propria, ma sa anche che questa è l'unica fonte di affetto ed amore che può avere lontano da casa. Scarpe griffate ai propri piedi per pochi minuti.
Per proprietà transitiva, GIOVANE PEZZENTE : MODA = MODA : AZIENDA, quindi GIOVANE PEZZENTE : AZIENDA. E' naturale che la giovane pezzente sia così dedita all'azienda, almeno le permette di dormire in hotel splendidi e mangiare abbonantemente: queste sono spese rimborsate.

Thursday, October 1, 2009

Hero of the day

6.45: no, ancora mezz'ora...sposto la sveglia "giorni feriali" sul blackberry alle 7.00. Volevo lavarmi i capelli stamattina, ma chi se ne frega, li legherò in una bella e alta coda liscia. E' anche trendy.
7.00: oddio, non ho più scusanti nè scappatoie. Mi devo alzare...qualche minuto in cui mi sfrego gli occhi, stiracchio e penso a cosa mettermi.
Preparo l'impasto della crepes, accendo il fuoco
lento, verso l'impasto che non deve essere troppo liquido e mi dirigo davanti all'armadio.
Oggi jeans, camicia, golfino...noooo, tacchi oggi no, stivaletti da maschiaccio.

In ufficio bevo tanta acqua, per poter fare tanta "plin plin". Tanta plin plin significa alzarsi spesso, camminare verso la toilette, un lungo corridoio in cui non suonano telefoni, non esplode il panico per un ritardo di mezz'ora nella consegna di un progetto, non senti schiamazzare commenti inutili sulla mise sbagliata di qualche collega. I più ignorano che una faccia intelligente può indossare quello che vuole.
Ti allontani un momento e ti hanno già cercato al telefono. Richiami. Devi preparare una e-mail urgente, lunga quanto la Bibbia, che però di sacro e profetico ha ben poco.
Ed è metà pomeriggio...anche oggi ho mangiato qualche galletta di mais davanti al monitor del pc. Cosa avrei veramente voglia di fare se fossi fuori da queste quattro mura?

E poi ti arriva l'e-mail della collega che deve andare ad una festa e non sa cosa mettersi. Ti lusinga, "scrivo a te Alle perchè hai gran gusto", però ha trascorso le ultime settimane senza nemmeno salutarti (non dico rivolgerti la parola e farti un discorso). Ed è seduta tre scrivanie più in là.

Si dimette una collega storica, in azienda da 14 anni. Un regalo mediamente dispendioso per colmare la mancanza di affetto che metteranno nel salutarla l'ultimo giorno di lavoro.

Ed è sera, esci da questa freddezza e apparenza.
Chiami il mondo per poter infondere affetto e simpatia. Per riceverlo. Esiste anche nella mia vita, non lavorativa.
Peccato che si lavori di più di quanto si faccia l'amore e ci si diverta.
Ma non mi arrendo. Mi sento un eroe a tarda serata, con gli occhi semi-chiusi davanti, ancora una volta, ad uno schermo di un pc, questa volta per scrivere di me e della mia mente . Ad occhi quasi chiusi mi ostino a leggere qualche pagina del libro che poggia sul mio comodino, dopo aver corso per 4 km sul tapis roulant. Poi anche gli eroi crollano, spesso senza farsi nemmeno la doccia.
Va beh, domani mattina mi alzerò prima, così mi lavo i capelli.

Saturday, September 19, 2009

Il bello delle donne

Non il celebre polpettone della tv commerciale con Stefania Sandrelli e compagnia bella.

Bernard Malamud scrive che le donne vivono due vite: una in cui imparano e una in cui iniziano a vivere davvero.

Non posso ancora raccontare la mia “vita davvero”, sono ancora nella fase in cui imparo e, spesso, anche in modo non delicato.

Ma posso raccontare la “vita davvero” di alcune, non molte, donne che incontro ogni giorno, che ho la fortuna di conoscere grazie al mio sporco lavoro, che di incontri me ne fa fare tanti, ma pochi che lascino il segno.

Anna, avvocato di Palermo, passionale e sanguigna come ogni donna originaria della Sicilia. Una settimana in sua compagnia mi ha fatto amare Palermo, soprattutto di notte, in sella alla sua Mini, ascoltando Radio Montecarlo e le sue parole da Cicerone d’occasione. Era sposata da qualche mese col suo primo marito quando incontrò l’uomo della sua vita durante una cena. Lascerà il marito quella sera stessa dicendogli, dopo alcuni sguardi con il suo futuro uomo, che si era appena resa conto di aver fatto un errore a sposarlo. Dopo pochi giorni andò a convivere con quello che sarebbe diventato il suo secondo marito e l’amore più grande mai avuto. Oggi single, decide di avere un figlio a quattro zampe che chiamerà Pasquale e di fare un fioretto: non avere nessun uomo per almeno qualche anno. Assorbe troppe energie e lei deve recuperarle. Durante le numerose cene insieme mi racconta talmente tanti aneddoti che le appartengono, realmente accaduti, che mi sembra di ascoltare racconti di più vite insieme. Una voglia di vivere vera, di farlo divertendosi e godendosela. “Pappina (sopranome che mi diede dopo che stetti male di stomaco una sera dopo una cena a base di frutti di mare crudi), fatti di qualcosa, anche solo di pistacchio, ma vivi”. Eh per la prima volta mi sono sentita realmente in credito con la vita: devo e voglio riscuotere ancora tanto.

Laura, invece, vive a Cuneo da quanto è nata. Una città molto chiusa e grigia, troppo conservatrice. Decide di andare controcorrente: si sposa quasi quarantenne, decidendo di non avere figli perché troppo impegnativi. Lei aveva troppe cose da fare e ne ha tutt’ora. Non voleva aggiungere un ennesimo cambio di pannolini o una visita dal pediatra sulla sua agenda. Aperta, nonostante sia cuneese. Serena nel far capire che i figli, nel proprio matrimonio, non sono arrivati per scelta, non perché non può averne.

Annuccia non vede tanto bene. Dopo giorni in cui lavoravamo insieme, si avvicina e mi fissa in modo strano, che bei occhi che hai! Ma Annuccia, ci vediamo da giorni (la mia solita poca delicatezza)! Eh, ma io non vedo bene, solo quando mi avvicino tanto. A pochi anni dalla pensione, una soddisfazione immensa nel aver fatto studiare i figli, laureati entrambi e professionisti a Milano, emigrati. Lei che la Sicilia ha deciso di non abbandonarla mai. Le brillano quegli occhi che vedono poco, ancora oggi, quando parla col marito al telefono, preoccupandosi di cosa poter comprare per cena. La sua seconda vita da coppia è iniziata da quando anche il secondo figlio se n’è andato. Sono ancora innamorata di mio marito. L’amore è ancora in tutto e per tutto. Io sorrido, perché queste sono le cose che vorrei potessero vivere tutti.

Ed un domani proprio io.


Tuesday, September 15, 2009

I'll kill you!

Tanta roba

E c'erano veramente tutti, anzi, tutte. Piccoli e grandi cloni alla Anna Wintour che invece di cappuccini bollenti (si dice che la direttrice ne sia molto ghiotta) si sollazzavano sorridenti con l'ausilio di drink color pesca. Si dice non fossero analcolici.
E c'erano loro, le straordinarie consumatrici, vip e non. Sì, perchè in azienda le vip sono proprio loro, le nostre consumatrici che seguono il proprio stile non tradendoci, ma scegliendoci sempre.
Un dubbio: così tante donne si saranno adunate intorno ad un grande uomo, ospite della serata, (Sergio Muniz) od in occasione di un grande evento? E se l'evento fosse stato il grande uomo?
E' stata LaFrancy a rendermi pensierosa: "Fra, com'è la serata?" "Mah, LUI è tanta roba, mamma mia quanta roba!"

Monday, September 7, 2009

Real World

Qualcosa di veramente irrimediabile è un sentimento terrificante come nient’altro al mondo, che ti si forma dentro poco a poco, inesorabilmente, fino a divorarti il cuore.
Una persona che porta nell’animo il peso di una cosa a cui è impossibile porre rimedio è destinata, presto o tardi, a essere annientata.
Le mie idee sono forse troppo complicate? Bè, non posso farci niente, perché sono effettivamente una persona che pensa cose più difficili degli altri. Ecco perché a casa e a scuola non faccio altro che scherzare. A che servirebbe mettere a nudo il mio vero io, se poi nessuno riesce a capirmi? Sì, c’è Toshi, ma lei sarebbe in grado di comprendere soltanto una piccola parte di me. Non ho mai incontrato una persona, giovane o adulta, capace di capirmi veramente.
Esiste insomma un divario non indifferente tra me e gli altri, un divario che riguarda le capacità, l’esperienza e i sentimenti. Sono una persona estremamente sensibile e intelligente. Attenzione, quando dico intelligente non intendo “brava a scuola”, bensì “capace di pensare in astratto”. La maggior parte degli adulti crede che uno studente delle superiori non sia in grado di farlo, ma si sbaglia, e di grosso.
Io mi ritengo libera da ogni tipo di relazione umana, perciò tendo a concentrarmi univocamente su me stessa. Questo comporta un notevole dispendio di energie mentali.


da “Real World” di Natsuo Kirino

Una virtù vacillante

Scelsero un nuovo albergo, e dalla loro camera si godeva la vista della pergola di vite del giardino interno e delle luci della metropoli che si estendevano sotto di loro. Al pensiero di doverle abbandonare per qualche tempo, parvero a Setsuko particolarmente belle. Dall’albergo provenivano strani rumori. Faceva caldo anche con le finestre aperte. Setsuko aveva il vizio di rivolgere al giovane un piccolo sermone prima di andare a letto. Quella sera gli rimproverò a lungo la sua insensibilità per l’imminente separazione, sia per abituarsi a quell’evento ormai ineluttabile, sia per provocare qualche turbamento in lui. Ma, come sempre accadeva quando la situazione si faceva imbarazzante, il giovane le suggellò le labbra con un bacio, impedendole di continuare.
In quell’istante Setsuko prese coscienza dell’irrimediabile disonestà che si cela nell’erotismo. La disonestà di gettarsi reciprocamente sabbia negli occhi, per non vedere i problemi reali, in ogni decisiva questione. Setsuko tentò di resistere, ma invano. E ribellandosi a tutti gli scrupoli, alle pretese della rettitudine, si abbandonò all’opulenza di un mondo che stava per essere sepolto.
Infine, suo malgrado, fece per la prima volta un confronto tra ciò che fino ad allora aveva ritenuto di non dover paragonare. Tsuchiya le donava ciò che il marito non era stato in grado di darle.
Stavano nudi, con naturalezza. Nudi senza la minima enfasi, senza alcuna traccia di esibizionismo. Dalla finestra spalancata entrava una gradevole brezza notturna, che portava un lontano sferragliare di treni, il suono dei clacson e delle grida, a ondate. Tsuchiya fumava una sigaretta, in piedi accanto alla finestra, osservando il panorama. Setsuko gli stava vicino, avvolta dalla tenda.
[…]
- Non sei affatto in ansia, vero? Devo essere soltanto io a tremare, a provare angoscia?
- Faresti meglio ad abbandonare simili inquietudini, - sentenziò Tsuchiya.
Poi aggiunse: - Tuo marito non è preoccupato?
- Per nulla. Davvero.
Tsuchiya sorrise con aria sinceramente divertita, mostrando i denti candidi.
Setsuko insistette:
- Ma l’assenza di inquietudine in Kurakoshi è ben diversa dalla tua! Tu percepisci tutto, tu sai tutto, eppure non ti preoccupi di nulla!
- Mi sopravvaluti, - commentò Tsuchiya, avvolto dal fumo della sigaretta, perché la brezza era caduta e l’aria ristagnava nella stanza. “Non è che carne! – pensò Setsuko. – Un ammasso di carne senza scrupoli”. O forse era una persona che reputava necessario camuffarsi da uomo vanitoso della propria carnalità.
- Fra te e me … - iniziò a dire Setcuko, ma si trattenne. Tsuchiya non le chiese che cosa intendesse dire, e quella frase interrotta sedimentò nell’animo di lei.
Setsuko avrebbe voluto dirgli che solo il frapporsi di un ostacolo fra loro avrebbe potuto aiutarla. Provò l’impulso di confessarlo, e invece si espresse in modo totalmente opposto: - Io sono più libera di quanto tu possa immaginare.


da “Una virtù vacillante” di Mishima Yukio

Monday, August 24, 2009

La natura più viva

Un pò come il vino che invecchiando migliora di gusto e qualità, col passare degli anni cambio radicalmente idea sulle cose, gusti sul cibo, opinione sulle tipologie di caratteri a me più affini. Sarà il conoscermi pian piano sempre più. Sarà il divenire pian piano una Yes-woman. Dire SI alla vita aiuta.
Forse era scritto che avrei trascorso gli ultimi giorni di vacanza in montagna, proprio io che amo il mare. Proprio io che da bambina, durante le vacanze estive ed invernali, mi annoiavo a morte nelle fresche serate di celere coprifuoco e mi straziavo dalla fatica durante le escursioni chilometriche con mio padre, montanaro per passione e uomo dotato "di gambe". All'epoca non avrei di certo pensato che la montagna mi potesse piacere, MOLTO, da grande.
Pochi giorni da rendere magnifici grazie alla purezza di ciò che si può vivere e vedere in un posto magico come questo: Valle Aurina.
Le cascate di Riva, questa imponente massa di acqua freddissima che prende pian piano più forza scendendo d'altura, rimane lo scenario più impattante che io abbia mai visto. Il sentiero che porta alle cascate, sentiero San Francesco, immerso nei boschi, prepara mentalmente ad una visione mozzafiato.
Camminare camminare, mangiare mangiare: paradisiaca la Linzer Torte. Soprattutto con un buon caffelatte di buon mattino, inebriata dall'aria fresca di montagna. E qualcuno sgattaiolato fuori prima del tuo risveglio per fartela trovare a colazione.

Saturday, August 15, 2009

Lord Byron ed una poesia vivente


Celeberrime, e ancor più costose da quando i giornali stranieri le hanno rilanciate come tappa imprescindibile del nuovo Gran Tour insieme a Roma Firenze, Pisa Venezia, le Cinque Terre nascondono ancora qualche posticino giusto (Dove Dossier Liguria, aprile 2009).

In effetti non avrei mai immaginato di incontrare, al mio arrivo a Portovenere, un pullman pieno di turisti giapponesi con guida al seguito. E proprio il 9 agosto 2009, data in cui, esattamente un anno fa, io arrivavo, stravolta da non poche ore di volo, a Tokyo, il 9 agosto 2008. Le coincidenze sono la mia fonte principale di sorrisi compiaciuti.

Una soffiata da parte di una collega spezzina, una telefonata supplichevole per avere una camera ed il gioco è fatto: quest’anno si vive l’esperienza del bed&breakfast alla meglio gioventù in pieno centro storico. Via Castellini è stato il centro del mio colorato e caldo mondo durante questi pochi giorni di mare: stupendo carruggio dai colori vivi, passaggio obbligato di turisti e paesani. Qui dormivo, La Locanda; qui facevo la prima colazione con focaccia ligure integrale acquistata al forno di fronte; qui cenavo, Antica Osteria Il Carruggio; qui passeggiavo alla ricerca di quiete prima e dopo l’essermi abbrustolita al sole; qui guardavo ipnotizzata per alcuni istanti, ogni volta che passavo davanti alla porta di ingresso della bottega, la lavorazione artigianale degli zoccoli in legno con zeppa tipici di Portovenere, Bottega Nudo.

Davanti agli occhi, perfino dal terrazzino della camera in cui alloggiavo, il braccio di mare che divide la terraferma dalla Palmaria. Quest’isolotto quasi selvaggio, che si raggiunge in pochi minuti di barca dal molo Doria, è un paradiso per gli amanti della tintarella: sole cocente che non si percepisce quasi mai grazie al vento fresco che attraversa il canale tra l’isola e la terraferma. Prendere il sole e non accorgersene. Prendere il sole e non sudare. Prendere il sole ed ustionarsi perfino le labbra, dopo aver pensato di mettersi sul lettino in una posizione comoda che permettesse di dormire un po’.

C’è una grotta dedicata al poeta Byron sugli scogli a ridosso del castello e della chiesa di San Pietro: dicono che il poeta fosse un provetto nuotatore e che fosse riuscito nel suo intento, nuotare dagli scogli di Portovenere fino a Lerici. Dicono, anche, che proprio Portovenere, la sua atmosfera ed i suoi tramonti, gli abbiano ispirato numerose poesie. Non fatico a crederci, io stessa sono stata ispirata a poche ma intense riflessioni. Vivere quei pochi giorni è stato, per me, come vivere una poesia vivente. La mia.


Saturday, August 8, 2009

Il futuro

Il futuro vi attende a braccia aperte ma prima dovrete convincervi a uscire dal vostro rassicurante guscio. Siete rimaste nella stessa posizione fin troppo a lungo, semplicemente perché la conoscete come il palmo della vostra mano e sapete come farla funzionare, ma alla fine di luglio vi rendete conto che il tempo sta per scadere. Non avrete alternative: dovrete andare avanti e, prima lo farete, meglio sarà per voi. È arrivato il momento di abbandonare la vostra amata tranquillità e di uscire allo scoperto. L’unica strada è quella che avete davanti, e sarà inevitabile percorrerla. Non abbiate paura. In ogni caso, non vi andrà poi tanto male.
Eh meno male che luglio-agosto è il nostro mese, di noi LEONI. Forse, proprio per questo, “non vi andrà poi tanto male” era per rassicurare un popolo di donne egocentriche, testarde e dal carattere determinato e forte (così dicono…) che non si accontenta di “bisogna uscire allo scoperto”. Ma dove vado? Beh, “l’unica strada è quella che ho davanti”, ma tanto “non mi andrà poi così male”.
Quindi, percorrerò l’A15 Parma-La Spezia per raggiungere Le Cinque Terre. Sarà inevitabile, ho già prenotato ed ho bisogno di qualche giorno di mare e di relax con l’ingrediente giusto, “il baccalà” (trattasi di una tua carissima amica con poteri di penetrazione molto forti: penetra non solo i tuoi pensieri ma anche le minime sfumature dei tuoi cambi di umore. Lei ti ascolta, mentre le racconti di te, per riprendere il filo delle vostre vite che non riescono ad essere seguite di pari passo causa lontananza chilometrica ed impegni di lavoro, e sul più bello, quando ti sei liberata di ogni scoria radioattiva del tuo presente ed immediato passato, ti dice “ma sei sicura? Sei diversa, secondo me c’è qualcosa che non va. IO TI CONOSCO.”)
Poche sere fa ho recuperato dal cappello magico di un’arena estiva un film perso nei mesi scorsi, THE WRESTLER. Un Micky Rourke mai visto prima, sia per la trasformazione (degenerazione) fisica sia per la bravura ed intensità dimostrata. Un film che mi ha tenuto con un groppo in gola fino alla fine, per la solitudine e tristezza trasmessa dai personaggi. Un universo di persone sole che gravitano una accanto all’altra senza mai incontrarsi, senza mai fondersi, senza mai conoscersi. La storia di un wrestler professionista che nella vita non ha mai saputo far altro che il suo mestiere, incitato dalla fama e dalla gloria che gli trasmettono i suoi fans, capirà di essere SOLO soltanto quando sarà costretto a fermarsi, a non essere più soltanto un lottatore, ma anche un uomo ed un padre. Che non esistono, che non ha mai fatto in modo esistessero.
Mi sono chiesta, all’uscita dal cinema, se tutte le volte in cui “Baccalà” e simili (le persona a te più vicine e care) dicano “io ti conosco” sia il segno di aver fatto un buon lavoro per sè, di aver tessuto fili stretti e resistenti fra pianeti distinti le cui orbite si intrecciano spesso, non sempre scontrandosi per fortuna. Nonostante non si finisca mai di conoscere nemmeno se stessi e spesso chi vede da fuori vede meglio e più cose di chi si vede da dentro, IO TI CONOSCO mi fa sempre un certo effetto, mi fa bene all’anima, pur limitata che sia la frase e la realtà stessa.
Sono donna, amica, amante, figlia ancor prima di insolente RETAIL COORDINATOR, lottatrice sì ma tra la folla di clienti sull’orlo di una crisi di nervi?
Se la risposta sarà “si”, STO CRESCENDO BENE. Speriamo che qualcuno, però, ripassi.