Monday, April 27, 2009

Zoolander e la Giovanna


Se lavorassi in una gelateria vivrei delle vite delle persone che entrano, che ordinano. Le vedrei entrare da sole per un cono veloce, per un chilo da condividere con altri durante una serata, per omaggiarli a sorpresa. Le vedrei entrare in compagnia per condividere un peccato goloso, magari per accompagnare una passeggiata, una chiacchierata. E cercherei di immaginarmi il loro carattere, il loro stile di vita, il loro umore dai gusti che scelgono. Io adoro la nocciola, da sempre. Poi per non lasciarla sola decisi di farle compagnia col pistacchio. Non so se la nocciola ed il pistacchio potrebbero dire qualcosa di me. Pistacchio, origini sicule e carattere solare, passionale in ogni dove. Nocciola, un po’ scoiattolo nella vita, sfuggo e sgambetto velocemente in ogni dove.
Abitudinaria quando trovo il “nido” giusto. La combinazione vincente dall’arrivo della primavera è gelateria K2 e videonoleggio a fianco. Prima scelgo il film, poi mi “scorto” del sostentamento durante.
La ragazzina brunetta della gelateria sta imparando a conoscermi. Mi vede entrare di sfuggita qualche sera infrasettimanale, vestita da “ispettore Gadget” all’uscita dal lavoro, isterica e con occhi spiritati. “Mi fai una crepes alla nocciola e pistacchio?” Non si attenta a dirmi una parola di troppo. Devo farle proprio una brutta impressione, o forse, un po’ di compassione.
Mi vede entrare da sola durante il week end, quando ordino “mezzo chilo di nocciola e pistacchio” e le chiedo due crepes vuote a parte. Lei pensa che mi si prospetti una serata intima, con un uomo interessante o con una cara amica. In realtà spesso riesco a fagocitare il mezzo chilo da sola davanti al film, al netto di un po’ di nocciola dentro la crepes per Shary, il primo cane, ed al netto di un po’ di pistacchio dentro la crepes per Lupobilly, il secondo cane (ordine ad honorem per anzianità). Lei si lascia andare, mi sorride e, nel salutarmi, mi dice “buona serata, ciao”.
Mi vede entrare con amici vocianti, e non a basso tono, che si distribuiscono in gelateria in questo modo: le due fanciulle alle vetrine delle torte e dessert, commentanti i dolcetti al gelato a forma di animale; l’unico uomo che scruta la lista dei gusti e mi urla davanti a Lei “mancano dei gusti basilari in questa gelateria, sto dubitando della sua qualità”. Lei comincia un po’ a spazientirsi, non capisce quanti gusti sceglieremo. Avevamo deciso di scegliere 2 gusti preferiti a testa. Io incalzo con pistacchio e nocciola “il pistacchio è finito”, io recupero con nocciola e bacio. La Vero, che ancor prima di entrare voleva solo “un po’ di fragola” sceglie “profitterol”. La Filo “ biscotto, ciocco menta…potremmo prendere, eh, anche una vaschetta di panna montata….” Geco conclude con “prendiamo la Giovanna ed il Mars”.
“Mi dai anche 4 crepes vuote, grazie mille”. Lei mi sorride, vede che cerco “emmonete” e mi fa lo sconto di 10 centesimi, che in tempo di crisi ho apprezzato assai. Si lascia andare e ci saluta con “buona serata ragazzi, grazie”. Avrà pensato che finalmente una serata in compagnia mi abbia fatto ritrovare il sorriso e reso meno nervosa del solito.
La ragazza brunetta della gelateria K2 ha un enorme vantaggio su di me: mi vede esteriormente in diverse circostanze più spesso di quanto io mi veda interiormente. I suoi sorridi e i diversi commiati potrebbero essere diventati le chiavi di lettura inconsce di come mi percepisce ogni volta che entro ed ordino.
Prima di riuscire a decidere i gusti del gelato con difficoltà, con altrettanta siamo riusciti a decidere il film da noleggiare. Comico. Zoolander. “Questo film è simpatico, ma è una gran cagata” sono costretta a commentare durante i titoli di coda.
Ma come ripeteva la Filo durante il pomeriggio, mentre eravamo seduti in mezzo ad un prato al Museo Cervi durante la festa del 25 aprile organizzata dal circolo Fuori Orario, “non è importante dove sei ma con chi sei”. E cosa mangi con loro, aggiungo io. Gnocco fritto con salume alle 6 del pomeriggio ed un chilo di gelato alle 9 di sera valgono bene una nottata sul water, questa però non in “buona” compagnia.

Thursday, April 23, 2009

Silenzio

Noto con poco stupore che c’è sempre più bisogno di stordirsi, di distrarsi, di non sentirsi.

Sarà che la mia amica Filo è esigente con me, pretende che io “ascolti me stessa”, che mi fermi, che mi rilassi e che provi a capire cosa mi passi per la testa in quel momento.

Sarà che soffro di emicranie, che il rumore gratuito mi infastidisce.

Aperitivo al buio: sapevo solo con chi ma non dove. In verità mi interesso al luogo solamente quando il suo splendore deve supplire alla noia del chi. E, generalmente, non frequento persone noiose.

Decido di abbandonarmi sul sedile posteriore dell’auto “appena lavata” della Fefè e, sotto ripetute indicazioni della Bobby al suo fianco, mi lascio trascinare in questo lounge bar di periferia. La Fefè, che a Milano ci ha vissuto 5 anni pur di potersi realizzare come pr, sgrana gli occhi nel vedersi, ancora una volta, in una realtà di stampo milanese, ormai odiata.

Tavolini e sedie dal design conteporaneo, rigorosamente bianchi, alternati da piante gigantesche in altrettanti vasi bianchi, sotto tendoni di plastica, a loro volta bianchi. Ambient da “Milano che lavora”, da “Milano Marittima che se la gode”. Peccato fossimo su una statale di Reggio Emilia in piena zona industriale. Musica house e dance un po’ troppo alta, per un aperitivo post giornata di lavoro. Pochi ma chiari obiettivi: spendere massimo 5 euro, facendoci rientrare un pasto-cena, e non lasciar trascorrere nemmeno un minuto di silenzio tra noi, cercando di concentrare, a turno, tutte le nostre novità.

Primo obiettivo non raggiunto: 5,00 euro iniziali, cocktail analcolico al kiwi e “capatina” (doppia) al tavolo delle pietanze (roastbeef e verdure alla griglia…, qualche pezzetto di erbazzone….), in aggiunta ad altri 5,00 euro, poiché l’arrivo della Mony ci ha imposto il secondo brindisi.

Secondo obiettivo raggiunto, ma a fatica: dialogare fra 4 persone per 2 ore sotto sforzo, musica molto alta nelle orecchie e non delle più leggere, non è rilassante ma tedioso.

Perché sforzarsi di produrre luoghi il più rumorosi possibile? Per coprire il vocìo? Ma le persone vanno nei locali per ritrovarsi, per comunicare, è normale che parlino e che le parole producano suoni.

Perché riprodurre gli stessi ambienti asettici dei locali “da fighetti”? Io adoro il colore ed il morbido. Perché propinate solo bianco e nero, legno e plastica?

Perché incentivare così tanto l’uso dell’alcol, con pagine e pagine di cocktail alcolici nel menù e solo due voci sotto la dicitura “cocktail analcolici”?

Che cosa è questa storia del drink fi.GA? Bevanda energetica ai fiori di guaranà. Questi sono i casi in cui mi vergogno di lavorare nel marketing: come creare un tormentone-passaparola per “creare” interesse e conoscenza di un prodotto.

Tutto queste considerazioni rabbiose per non essere riuscita a rilassarmi con delle care amiche in una serata di primavera infrasettimanale. Che volevo fosse in silenzio. Con solo le nostre voci. Ed economica. Solo un succo d’ananas ed un tramezzino. Che non si possono più avere a meno di 5 euro.

Sunday, April 19, 2009

Nuovo cinema Paradiso

Da patita del “cinema d’essai” faceva un po’ “fedina penale sporca” non avere ancora visto un film di tale calibro alla mia veneranda età. Sono corsa ai ripari parecchi mesi fa.
Uno dei “figli” meglio riusciti di Giuseppe Tornatore.
In una Sicilia del dopo secondo conflitto mondiale, Salvatore, fin da piccolo, si appassiona ad un mestiere particolare: il cinematografo. In realtà è ad Alfredo, il cinematografo del paese, a cui si appassionerà il piccolo protagonista che farà di tutto per diventare suo amico, nonostante la differenza di età: “Alfredo, ora che sono più grande e vado alla quinta, non dico che posso incominciare a venire in cabina, ma magari, perché non diventiamo amici?” “Io scelgo i miei amici per il loro aspetto ed i miei nemici per la loro intelligenza. Tu sei troppo furbo per essere amico mio. E poi io lo dico sempre ai miei figli, mi raccomando, state attenti a trovare gli amici giusti.” “Come se tu figli non ne hai?” “Eh, quando avrò figli glielo dirò”.
Uno scorcio di una Sicilia che vuole rinascere ma che non riesce a rialzarsi. Di siciliani che di rialzarsi fanno il loro obiettivo ed emigrano da una terra considerata maledetta.
A distanza di anni, molti, e di realtà (non si tratta di un film), ciò che i siciliani dicono ancora della loro terra è “maledetta”.
Durante un mio viaggio di poche settimane fa fra Catania e Siracusa, di racconti e di commenti sull’essere oggi siciliani ne ho sentiti molti. Orgogliosi ma delusi allo stesso tempo da una terra che promette tanto ma non riesce a dare, quasi sconfitti da loro stessi, dalle loro origini.
È stata la terza volta in terre sicule. Ogni viaggio a distanza di anni ed ogni volta una sensibilità sempre più marcata verso tutto ciò che mi potesse riportare a quelle che sono anche le mie origini. Madre siciliana assicura seno abbondante, bocca carnosa, sembianze da mora che fa girare la testa. Destino a voluto che prendessi tutto da mio padre.
Sorvolare l’Etna è stato emozionante quanto sorvolare il Fujisan in Giappone l’anno scorso. Ma la vita che sprigiona il primo vulcano, la vita che genera alle sue pendici, non ha eguali, né storici né geografici. Catania è stata distrutta ben sette volte dall’eruzione dell’Etna. Ed è stata ricostruita esattamente dov’era in origine. Le spiagge di ciottoli di pietra lavica sulla costa orientale da Taormina a Catania, i faraglioni sulla spiaggia di Acitrezza, divenuti Riserva Naturale delle Isole dei Ciclopi, sono alcuni esempi di ciò che ha creato nel tempo la natura vulcanica di quest’isola. Un collega siciliano mi ha trasmesso, semplicemente raccontandomelo, l’emozione che si ha, d’inverno, nello sciare sull’Etna e nel vedere il mare mentre si scende a tutta velocità. Credo anch’io, ma Marcello non sapeva assicurarmelo, che l’Etna sia l’unico vulcano attivo al mondo in cui sia possibile sciare e vedere il mare contemporaneamente. Pochissimi siciliani sciano, nonostante ne abbiano la possibilità. I siciliani vivono di mare e sole; d’inverno “vanno in letargo”, dalla primavera all’autunno vivono all’ennesima potenza, sprigionando se stessi nella loro solarità e positività.
Catania è una città impegnativa, se si è al volante. La diseducazione stradale impera, guidarci non è cosa da poco. Camminarci è molto meglio, preferibile se la si vuole vedere in tutta la sua bellezza. La via principale, via Etnea, che taglia la città in due parti, è rimasta la via commerciale più storica. Percorrerla gustandosi la folla a qualsiasi ora e le vetrine dei numerosi negozi è molto piacevole, quanto arrivare pian piano verso piazza del Duomo e scoprire una sinfonia di bianco e nero, il colore dei marmi con cui è stata costruita la cattedrale. Al centro della piazza, la fontana dell’Elefante. Una statua di marmo nero dell’enorme pachiderma, legata ai culti pagani dell’antichità. La prima cosa che un catanese dirà ad un ospite è di guardare l’elegante negli occhi perché è di buon auspicio. L’ho fissato per 5 minuti, chissà…
Un pranzo di lavoro ad Acitrezza, passando per Acicastello, mi ha dato l’opportunità di farmi raccontare i retroscena sul romanzo de “I Malavoglia” di Giovanni Verga, che lo scrittore catanese ambientò proprio ad Acicastello. Dicono che leggendo il romanzo “sul posto” sia possibile percorrere, ancora oggi, le stesse strade e vivere gli stessi “colori” narrati da Verga.
Siracusa si è rivelata una perla. In un bar in piazza Archimede ho mangiato il cannolo siciliano originale più buono. Farcito al momento, davanti ai miei occhi, con ricotta fresca e pistacchi, si è rivelato un ottimo appuntamento pomeridiano nei miei 10 minuti di pausa.
Chiedere sempre ai conoscenti del posto dove andare a mangiare (ed a pernottare). Sono l’unica vera ed affidabile garanzia. Archimede, in Via Gemellaro, laterale di Corso Matteotti, proprio all’inizio di piazza Archimede (zona centro storico di Ortigia) è il ristorante che cucina meglio il cous cous in tutta la città. Causa le invasioni, i domini e le continue influenze arabe, il cous cous è considerato dai siciliani stessi un loro piatto tipico. Ed ammetto che hanno imparato proprio bene a farlo.
I 10 cannoli, acquistati all’aeroporto di Fontanarossa a Catania (da “i dolci di nonna Vincenza”) prima di imbarcarmi ed arrivati in perfette condizioni a casa, si sono rivelati motivo di commozione per tutti in famiglia, ma soprattutto per mia nonna materna, che ingoiandone uno quasi intero mi diceva con un filo di voce “erano anni ed anni che non rimangiavo una cosa così buona e così mia”. Ovviamente dicendolo in dialetto siciliano.

Tuesday, April 14, 2009

E' già ieri

Da una “insana” voglia di cullare la propria intimità davanti ad un buon film durante una serata un po’ spenta, ne è nata una nottata insonne invasa da pensieri e parole a cui dare forma.
I film che si prendono gioco di noi narrando la nostra cecità e la nostra spesso non-curante quotidianità sono i più pericolosi. I sensibili “alle piccole cose”, diciamo “i sensibili di cuore”, saranno soggetti ad emozioni contrastanti: il volersi credere diversi dalla negatività che ci circonda e l’ottimismo di poter fare sempre qualcosa per gli altri e per se stessi.
“E’ già ieri” è una commedia italiana. Ottimo punto di partenza in quanto amante del cinema d’autore italiano.
Antonio Albanese interpreta Filippo, il presentatore televisivo protagonista. Ottimo punto di arrivo, da sempre sostenitrice degli artisti eclettici: saper far ridere e saper far piangere. E bene. Lui è molto bravo.
La storia è molto originale ma per certi versi sotto gli occhi di tutti noi. Filippo si alza tutte le mattine vivendo sempre lo stesso giorno, il 13 agosto dello stesso anno. Trascorrono mesi vissuti nel medesimo giorno, in cui accadono le medesime cose. Quello che all’inizio era per lui un incubo diventa quasi un gioco, facendo ogni giorno cose diverse senza le conseguenze di queste il giorno successivo. Fin quando qualcosa dovrà cambiare in Filippo affinchè riesca a vivere il giorno dopo, il 14 agosto.
Consigliato a tutti coloro che credono che un po’ (tanto) di “sano” (a loro dire) egoismo serva nella vita. Ed a coloro che non vedono al di là del proprio naso (soprattutto se questo è grosso ed anche un po’ “gobbo”).

Sputnik

Nome del primo satellite artificiale lanciato dall’Unione Sovietica il 4 ottobre 1957.

In russo significa “compagno di viaggio”.

Nella vita potrebbe significare “amico”, perché in fondo un amico accompagna durante un viaggio, pur breve che sia, pur semplice e banale che possa apparire.

“La ragazza dello Sputnik” è l’ultimo libro di Murakami Haruki tolto dal mio comodino. Letto in non poco tempo nonostante sia abbastanza breve. Vorrei giustificarmi dicendo che non ho avuto il tempo di leggerlo “tutto in un fiato”, in realtà è un libro complicato, da leggere con attenzione e spesso, ammetto, ho preferito “Chi” e la settimana enigmistica durante i tempi vuoti dei miei viaggi.

Difficile individuare tutti i fili che legano i semplici dialoghi dei personaggi (fantastici?) di Murakami: ogni personaggio è un valore, una coscienza, che parla ed interagisce con un’altra.

Il protagonista del libro è un insegnante trentenne innamorato di una cara amica, lesbica, che a sua volta ama una donna matura “asessuata”. Il protagonista non è altro che l’amore che interagisce con l’amica, che è l’amicizia, che a sua volta interagisce con la donna matura, il cinismo. L’intrecciarsi delle vite di queste 3 persone sviluppa la trama del libro che è il divincolarsi dell’amore e dell’amicizia sul cinismo e l’indifferenza. Una delle 3 vite sopraffà le altre 2. Non svelo quale sia il valore a prevalere.

Non facile da commentare questo libro, come non è sempre così immediato da cogliere alla prima lettura. Ma più denso di introspezione di un manuale di analisi psicologica.

Desiderosi di letture poco impegnative e divertenti astenersi.