Sta arrivando il freddo anche nella punta del nostro stivale. I tavolini fuori dai bar resistono, come resistono coloro che decidono di sedercisi sorseggiando un caffè, sperando in un raggio di sole che li riscaldi. L'importante è prendere un pò d'aria di mare e non abbandonare troppo in fretta le abitudini estive.
La Calabria mi sta entrando pian piano nel cuore. Come la sua gente e le sue abitudini.
Mi sono persa nei gesti di un pescatore ieri sera dopo il lavoro, in quei gesti semplici di uomo di mare, vestito come i marinai raffigurati nei libri di fiabe per bambini, dolcevita in lana pettinata sottile ceruleo e pantaloni in coste di velluto marroni: arrampicato su una scala in legno fissava le luci di Natale all'ingresso della sua trattoria.
Il pescatore non mi ha fatto scegliere su un menù, fattomi sedere in questa semplice trattoria mi ha chiesto se mi fidavo di lui. Si, e mi ha promesso di cucinarmi solo pesce pescato la mattina stessa.
Attorno tavoli di vecchietti soli e famiglie di questo piccolo paesino sulla costa cosentina, tutti intenti a mangiare silenziosi ed a guardare il telegiornale delle 20 su Raiuno. Come negli anni '50, quando di televisioni ce n'erano poche, in bianco e nero, e solo chi aveva un'attività poteva permettersela. Riuniti davanti allo schermo a commentare le parole udite.
Ieri sera ero intenta a commentare insieme al mio vicino di tavolo, un signore dal dialetto calabrese stretto ma dalla mentalità ampia, il servizio sullo scandalo dei transessuali e politici a Roma. Il signore schifato si è pronunciato: "ce vole la casa chiusa, cumu facevamu nuantre da picciotti pè iere a buttane. Tutti intra a fare schefee, se nò rimane nà camurria".
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