Friday, December 31, 2010

That's Christmas!!!


Trascorsi un discreto numero di 25 dicembre, Natale, ad oggi TUTTO è così diverso.
Diverso questo Natale 2010, così forte l’intimo senso della famiglia. Scoprirmi davanti alla nuova tv nel rivedere la stessa scena di Amarcord, uno dei miei film più amati e rivisti di Federico Fellini, in cui il giovane protagonista si reca dal parroco di paese per confessarsi, anzi, per confessare il peccato “di toccarsi”. Il giovane inizia a raccontare tutte le tentazioni che le donne mature di un piccolo paese creano per un giovane che comincia ad esplorare il mondo della malizia e della sessualità. Quella volta in cui d’estate vide la Gradisca, la donna più bella del paese, entrare al cinema, sola. In cui comprò il biglietto per vedere il film, si sedette all’interno della sala, in cui era solo con lei, cominciò a cambiare posto un’infinità di volte per avvicinarsi sempre più a lei… fino a quando le si sedette affianco, le appoggiò una mano sulla coscia, lei si girò e gli disse: “giovanotto, cosa cerchi?”.
Belli i regali ricevuti. D’amore e d’affetto, verso una conoscenza sempre più precisa di quel che sono e penso.
Uno splendido libro regalatomi, “Il dito e la luna” di Alejandro Jodorowsky. La prima pagina letta, quella aperta a caso per leggere qualcosa, pagina 30.
ATTENZIONE
“Maestro, che bisogna fare per apprendere l’arte della spada?”
“Bisogna fare attenzione.”
“Tutto qui?”
“No, bisogna fare attenzione e ancora attenzione.”
“E’ proprio tutto qui?”
“No, bisogna fare attenzione, ancora attenzione e ancora più attenzione.”
Si tratta dell’attenzione costante. Come una tigre in agguato, sempre allerta, vigile, osservi il tuo essere. Osservi i tuoi pregi. Osservi la tua verità con il desiderio insaziabile di nutrirti di te stesso. Non lo fai in maniera egoista. Cerchi di nutrirti del tuo essere vero, perché è qui che si trova l’essere vero dell’Universo. In questa osservazione continua, la scoperta del più piccolo difetto ti rende felice. Piangi di emozione al pensiero che puoi correggerlo. Che potrai superarlo. E’ un’opera che il tuo essere essenziale ti spinge a fare. Scopri i tuoi difetti, ma puoi anche scoprire i tuoi pregi.
Ed il pregio, oggi, è sapersi lasciare andare, per vivere ogni Natale in maniera più bella.

Saturday, November 20, 2010

Benvenuti al Sud, per davvero

L'impatto iniziale è aggravato dalla consapevolezza di doverci restare a lungo. Non hai scelto di esserci. Ci devi essere e, soprattutto, rimanere.
E' remota, qui, l'ipotesi di non avere conoscenti, che poi diverranno amici, che poi diverranno come familiari. Perché questo è COME si interagisce col prossimo nel Meridione. E questa, credo, sia la cosa che più, noi del "NORDE", dobbiamo apprendere da laggiù.
Un sorriso per ognuno ed una mano a ciascuno. Anche quando non si ha niente, solo il sorriso ed una mano per poter lavorare.

Pian piano i freni si allentano, ti insegnano i loro ritmi "con calma", "ù cafè" diviene un piacere, le cene tra quei conoscenti che hanno fatto in modo di diventare amici non sono più un obbligo, ma un piacere.... "finalmente non ceno sola". 
Ed è già ora di partire, contenta di tornare a casa ma consapevole di quel lato diverso e colorato che solo il Sud e la sua gente sa darti. E ti si presenta un problema: come infilare una pagnotta di pane calabrese in valigia, "quella che si conserva una settimana, più è secca più è buona!!!"

Sunday, November 7, 2010

Libertà


La libertà può essere intesa come una meta che possiamo raggiungere una volta che ci liberiamo da qualcosa che, in genere, si identifica con tutto ciò che ci impedisce di essere noi stessi e di seguire quella che a noi sembra essere la voce della nostra anima. Il primo passo indispensabile è quindi chiederci da che cosa ci vogliamo liberare, quali siano le componenti della nostra vita che ci impediscono di sentirci in una condizione di libertà, di possibilità interiore. Per ciascuno di noi le cose da cui liberarsi sono diverse, ma più o meno tutti sappiamo quali sono gli ostacoli che ci stanno impedendo non solo di seguire la voce della nostra anima, ma addirittura di esprimere la nostra personalità nel mondo.

Se però, un volta che li abbiamo individuati, ci limitiamo a eliminare questi ostacoli, è molto facile che torniamo a commettere i medesimi errori, ricreando la stessa gabbia dalla quale ci eravamo liberati. Può succedere che ci si liberi, ad esempio, dall’influenza dei genitori per poi creare, con il passare degli anni, altri tipi di legami molto simili, oppure ci si liberi da un partner particolarmente oppressivo, frustrante, noioso, per poi scegliere un altro partner ancora più terribile per quanto riguarda la capacità di instaurare un legame chiuso e soffocante.

Se non siamo consapevoli che essere liberi “da” qualcosa è solo il passo iniziale da compiere per essere liberi “per” qualcos’altro, non godremo a lungo la libertà, perché questa ci stancherà, si esaurirà in poco tempo. Affinché ciò non avvenga è necessario che la nostra meta diventi essere liberi “per”.

Liberarsi da qualcosa è sempre un’operazione che ci procura dolore e ci lascia delle ferite. Anche se ci leviamo dalle spalle uno zaino molto pesante, sentiamo comunque che ci viene a mancare un peso con cui ci eravamo identificati al punto da considerarlo, a torto, come una parte di noi. L’interruzione di ogni tipo di legame che avvertiamo come opprimente (con i genitori, con il partner, con gli amici, con un certo ambiente, con un sistema di idee…) inizialmente produce in noi una sensazione di benessere ma, allo stesso tempo, una nostalgia che può essere così struggente da farci essere tentati di rifluire, di tornare indietro a recuperare ciò che abbiamo abbandonato.

Per questo risulta molto importante avere molto chiaro, nella mente e nel cuore, “per” che cosa vogliamo essere liberi. Non ha senso, infatti, uscire da una gabbia in cui siamo stati prigionieri se non sappiamo dove andare; rischiamo di rimanere fermi sulla porta guardandoci attorno totalmente smarriti. Alcuni esseri umani, pur sentendosi prigionieri, pur avvertendo il senso di costrizione dovuto alla loro condizione e lamentandosi per questo, non riescono a uscirne. Arrivano magari fino alla porta della prigione ma, non vedendo con chiarezza a che cosa potrebbe servire loro la libertà, si interrogano: «Chi me lo fa fare di affrontare l’ignoto, quando qui dentro almeno sono al sicuro?». E tornano indietro.

L’unica garanzia affinché la libertà sia veramente evolutiva è data dalla nostra capacità di rispondere a questa domanda: «Per che cosa voglio essere libero? Che cosa me ne faccio della mia libertà?». Dalla nostra risposta riceveremo l’ispirazione e la luce che ci daranno l’energia necessaria per superare gli ostacoli che inevitabilmente incontreremo, liberandoci da ciò che pensavamo appartenerci. Solo nel momento in cui sottolineeremo dentro di noi che la libertà ci serve “per” riusciremo veramente a liberarci “da”. 

Nella libertà, quindi, ci sono due aspetti: uno è relativo alla libertà “da”, e sottolinea gli ostacoli da superare; l’altro è relativo alla libertà “per”, e apre nuovi orizzonti. Come facilmente deducibile, la libertà “per” è inevitabilmente connessa alla responsabilità e questo rappresenta per molti un grande ostacolo. Essere liberi comporta una responsabilità di gran lunga maggiore dell’essere prigionieri. Non sarebbe spiegabile, altrimenti, il fatto che la maggior parte degli esseri umani continui a vivere in tante prigioni che possono essere rappresentate dal lavoro, dalla famiglia, da una particolare relazione o anche da certi modi ripetitivi di affrontare la vita e le sue difficoltà. Sembra quasi che, solo se vivono ingabbiati, solo se non hanno alcuna responsabilità verso se stessi, gli uomini e le donne si sentano sicuri. La responsabilità è demandata alla “mamma istituzione”, che protegge e dà la sicurezza di essere approvati, perché ci si trova su un terreno condiviso socialmente. Ci sono diversi tipi di mamme: mamma religione, mamma stato, mamma partito, mamma famiglia… 

Scegliere la libertà ci pone necessariamente di fronte alla nostra responsabilità. Se ci libereremo da ogni tipo di condizionamento, vincolo, legame, se usciremo da tutte le gabbie volendo essere veramente liberi, ci ritroveremo improvvisamente soli di fronte all’universo, e saremo quindi profondamente responsabili di noi stessi e delle nostre azioni. Essere responsabili non significa essere passibili di punizioni nel caso di una nostra mancanza, bensì avere la possibilità di accettare la libertà o di rifiutarla per pigrizia o per paura. 

Siamo sollecitati da moltissimi richiami («Ci piacevi più prima… se fai così, allora non ci vuoi bene…») a rinunciare alla nostra libertà. E se siamo particolarmente ricettivi ai rimproveri al punto da essere facili prede dei sensi di colpa, riusciremo al massimo a fare i pendolari tra la prigione e il bar all’angolo della strada: andiamo fino al bar, beviamo una birra sentendoci finalmente liberi, ma appena finita la birra diventiamo tristi pensando ai secondini che sicuramente stanno piangendo perché ce ne siamo andati. 

Allora, visto che siamo tanto buoni e non possiamo permettere che degli esseri umani soffrano, torniamo indietro e bussiamo a quella porta; i secondini ci aprono e noi ci facciamo di nuovo chiudere in quella cella, ci mettiamo il nostro vestitino a righe, e aspettiamo che passi qualche giorno per tornare a lamentarci di non essere liberi. Poi, la prima volta che un secondino ci maltratta, perdiamo la pazienza ed evadiamo nuovamente. Ma, dopo la solita birra al solito bar, ci accorgiamo che fuori è tutto buio: non c’è nessuno che festeggia la nostra evasione complimentandosi con noi, anzi, pare proprio che a nessuno gliene freghi nulla, mentre invece i secondini sono sempre felici di rivederci. Così, siccome siamo inguaribilmente malati di desiderio di affetto, di amore, di attenzione e, talvolta, siamo fortemente condizionati dal fatto che gli altri approvino le scelte che facciamo e non stiano male per causa nostra, ci facciamo catturare dai sensi di colpa: non possiamo far soffrire il secondino; che senso ha la sua vita se si ritrova senza nemmeno un prigioniero a cui badare?

Se non abbiamo chiaro a che cosa ci servirà la libertà, se non perseveriamo nel porre l’attenzione al motivo che ci spinge a conquistarla, la tentazione di tornare in prigione sarà fortissima. La libertà comporta la responsabilità di essere se stessi. Libertà è acquisire la capacità di ascoltare i lamenti di dolore di altri esseri, senza per questo diventare sordi alla voce della propria anima. E la voce dell’anima non è la voce dell’autoaffermazione nel mondo, ma è quella voce che ci fa presente, in ogni istante, quanto ci stiamo allontanando da noi stessi nel momento in cui agiamo o parliamo in un certo modo.
Ciascuno di noi ha una sua verità interiore, che non è altro che il riflesso di quella Verità unica per tutti che possiamo percepire soltanto attraverso il nostro particolare modo di rifletterla. Quando contattiamo la verità dentro di noi, quando sentiamo che qualcosa per noi è veramente autentico, dobbiamo essere molto consapevoli che si tratta comunque di una verità parziale, deformata dal nostro specchio che non è mai completamente liscio e pulito. Nonostante il nostro specchio sia un pochino ondulato e impolverato, sta però riflettendo qualcosa di unico. 

Libertà è la possibilità, la capacità, la volontà, di guardare la nostra verità interiore. La libertà è importante perché ci serve per scoprire chi veramente siamo, per conoscere aspetti di noi che non abbiamo mai voluto vedere, per condividere con chi amiamo (uno o centomila) la nostra autenticità, o per tenercela per noi se ci è sufficiente averla contattata. 

Sunday, October 24, 2010

Every time


Ogni volta che mi chiedi che cosa sto leggendo è per ridere dell’ennesimo libro sconosciuto, infinito, complicato e, soprattutto, giapponese che sia riuscita a scovare.
Ogni volta che voglio leggere (sì, perché per me è una voglia che deve essere appagata, come la fame…) nel bel mezzo di una giornata in cui si potrebbe fare insieme qualsiasi cosa, accondiscendi, ne approfitti per dormire sulla mia pancia mentre sfoglio pagine e pagine.
Ma QUESTA VOLTA, mentre dormivi su un seno abbracciato ai miei fianchi, ho letto qualcosa di straordinario che mi ha fatto accelerare il respiro, il battito cardiaco e piangere. Le ultime 50 pagine di un romanzo che si legge in un solo fiato, denso di colori, profumi, emozioni e valori: “Il ristorante dell’amore ritrovato”, di Ito Ogawa.
E ti accorgi di quello che sta succedendo nella mia mente e non solo, ti rigiri inquieto in quel breve sonno, pizzicandomi con le mani i fianchi, capendo che leggo parole e significati forti, altrettanto inquieti. Apri gli occhi “hai letto tanto, che ore sono?” e mi accorgo che hai ragione. Amare è leggere dentro.

Sunday, October 3, 2010

Somewhere happened

Vale e Luca - 26 settembre 2010
Somewhere era Roma per due giorni, fra locali gay e alberghi fatiscenti gestiti da pakistani in zona stazione Termini. Fra pianti isterici davanti al Colosseo e baci mozzafiato in piazza Navona.
Si respira un'aria leggera (nonostante lo smog) e la luce, la sensazione di tutto ciò che vedi, è unica: a Roma tornerei ogni giorno... Ed ho camminato a New York, San Francisco, Los Angeles, Las Vegas, Tokyo, Kyoto, Osaka, Parigi, Barcellona... ma, ora, sono cosciente del fatto che non dovrò andare molto lontano per trovare quella sensazione di cui ho bisogno ogni tanto, quasi "un mio posto nel mondo": l'infinitesima parte di un tutto che sento quando vivo una grossa metropoli.

Somewhere era il cosentino, sul Tirreno, per partecipare alle nozze di una cara amica, due anni fa collaboratrice, collega come dir si voglia. Innumerevoli ore, io e lei, in treno ed alla guida di un'auto percorrendo tutta la Calabria in lungo ed in largo, la condivisione di palate di stress e di sogni, come il suo matrimonio e la mia serenità. Un matrimonio "del Sud" ma sentito da tutti, fino a tarda notte a ballare, mangiare e bere. Il primo matrimonio in cui abbia pianto, in cui mi sia sentita felice per la felicità che vedevo negli occhi e nel cuore degli sposi. Avrei voluto essere al suo posto, si si... Quel giorno sarei salita all'altare così come ero vestita, trascinandomi l'Arbuffo, ghignando un pò per le sue facce ed espressioni assurde e piangendo per l'importanza del momento. 
Sto maturando come un frutto... Ad ogni nuova cosa mi stacco dall'albero in maniera diversa... Sperando di non cadere ammaccandomi troppo...

Wednesday, September 22, 2010

Anestesia e risveglio

Somewhere di Sofia Coppola. Storia di una vita "famosa", un attore, ma una storia "come tante". Perchè di anestesia e risveglio si tratta. Per ognuno. Un viaggio all'interno della superficialità delle cose, il periodo anestetizzato, verso il valore delle piccole e grandi concretezze, emozioni e sentimenti.
E riscopro ancora una volta una donna genio artista che riesce ad inserire nelle pellicole proprio le emozioni che vorrei provare e le domande che vorrei pormi.

Domani mattina parto per il mio somewhere
Non in aereo, ma in treno, che non prendo da tanto tempo...
Farò l'ennesima valigia stasera, ma sarà una valigia speciale. Nulla che sia "il caso di" portare. Solo quello che avrò voglia di fare....

Tuesday, September 14, 2010

Wish list

E mentre aspetto le 16.00, ora del mio appuntamento, fantastico un pò, qui seduta ad una panchina in pendenza sotto un albero non ben identificato, dalle foglie già un pò ingiallite, sulla mia wish list post vacanze. Propositi, imposizioni per farsi del bene, sogni da realizzare nel proprio piccolo (sempre più piccolo), cose che vorrei vedere, curiosità che vorrei togliermi. Farlo in un caldo pomeriggio di inizio settembre, nel soleggiato centro storico di Vivo Valentia, prima di tornare al lavoro e parlare di numeri, percentuali, strategie.... infondere ottimismo, non solo alla vendita.
L'ottimismo me lo sto infondendo ora. L'inizio della scuola, le riunioni motivanti appena rientrati dalle ferie, le riviste che propinano gli stessi stimoli, gli stessi sogni. La triste realtà ed esser fatti di sogni altrui e stimoli imposti.
Mi sono iscritta in palestra, quella di fronte all'azienda, ovviamente. Convenzione aziendale, prezzo stracciato, abbonamento annuale e possibilità di accedere dal lunedì alla domenica ad ogni tipo di attività. Non ci sono ancora mai andata. Ma sono ottimista. Lunedì in pausa pranzo, dopo una riunione in inglese avrò senz'altro voglia di andare a farmi 45 minuti di spinning.
Faccio massaggi shatzu da 3 mesi. Mi massacra di calci e pugni. Mi dice "hai la milza troppo carica negativamente....E' un organo femminile che si sovraccarica per lo stress del dover far coincidere sempre tutto, del dover organizzare, del doversi far carico dei problemi altrui. Ma adesso la curiamo." La mia milza è ancora troppo carica negativamente. Credo si stia approfittando di me.
Faccio un corso di business english impostomi dall'azienda "perchè i nostri manager del futuro devono essere esportabili in ogni parte del mondo". Sono seduta su una panchina di Vibo Valentia, domani sarò a Soverato.
Ecco,
vorrei lavorare meno, che tradotto significherebbe "non fare un cazzo", ma non è proprio così. Vorrei farlo bene, ma meno, per meno ore.
Vorrei poter andare all'aeroporto e poter decidere in quale gate imbarcarmi. Non Roma, Lametia Terme, Reggio Calabria, Napoli, Venezia, Milano. Ma Delhi, Shigatze, Mataveri.
Vorrei poter mangiare chili di gelato alla nocciola senza ingrassare, ad ogni pasto.
Vorrei avere il tempo di leggere tutti i libri del mondo e guardare tutti i film italiani dal 1930 ad oggi.
E vorrei semplicemente dormire non più sola (i fantasmi non contano).

Saturday, September 11, 2010

09.11.2010

Da essere abitudinario, anche se non voglio darlo a vedere, ogni sabato mattina i miei punti di riferimento per iniziare i "2 giorni di calma apparente" sono pochi: l'estetista di primo mattino per un massaggio, l'edicola per comprare la Repubblica, il bar in piazza "a Muntech" degno di me, la Lifferia, un lattemacchiato ed una brioche integrale vuota.
Azzanno la brioche mentre inizio a leggere le prime pagine del quotidiano.
Oggi è ancora una volta l'11 settembre. Sarà spesso l'11 settembre.
Leggo un articolo crudo quanto molto bello di Vittorio Zucconi sulle ultime ore della hostess Betty Ong, sul volo 11 American Airlines, il primo a schiantarsi contro la Torre Nord. Ogni anno conosco facce e vite diverse di coloro che l'hanno perse quel giorno.
Ed ogni volta che è 11 settembre rivivo il mio personale sgomento e paura. Paura di essere nel posto sbagliato nel giorno sbagliato, pensavo. Ero in Egitto. E ricordo con precisione l'arrivo di un sms che nonostante gli innumerevoli telefonini che si sono susseguiti negli anni è ancora in memoria: "è pericoloso rimanere lì, non sai come reagirebbero contro gli occidentali. Torna a casa il prima possibile Pri". Dopo 4 ore ero su un volo verso l'Italia.

Wednesday, September 1, 2010

These are not just words.

I've met charming people in each entourage I've studied and worked.
Irina Fox is one of them. She arrived a couple of years ago and was my office opposite desk colleague. My break buddy.
She resigned last month and gave me a "mad Bible", a book that must have been a key to stand up to.
Books that want to teach to live well are so many that everybody would have red one at least as yet.
An hearty hug and softly words: "keep doing the best you can". The same words of the mad Bible.
Una vita riuscita è una vita vissuta conformemente ai propri desideri, agendo sempre in accordo con i propri valori, dando il meglio di se stessi in ciò che si fa, conservando l'armonia con ciò che si è e, se possibile, una vita che ci ha permesso di superare noi stessi, di consacrarci ad altre cose oltre a noi e di portare qualcosa all'umanità, anche un piccolo contributo. Una piccola piuma d'uccello affidata al vento. Un sorriso.
People we meet mean much than we think.

Monday, August 23, 2010

Giallo è bello

Ci si vanta di piccole grandi cose nel parlare tra amici, per farsi conoscere, nel pensare fra sè e sè. Cose di cui si va fieri perchè si pensa che nessuno (forse pochissimi) hanno fatto (fino ad ora) nella propria vita.
Oltre a rimanere fermamente convinta di essere l'unica persona al mondo in grado di ingurgitare un vasetto di salsa guacamole in meno di 15 minuti, senza l'ausilio di tortillas, a cucchiaiate come se fosse marmellata, provocando disgusto in chi osserva... Mi vanto di aver letto in sole 4 ore, all'età di 9 anni, in un piovoso pomeriggio di primavera, Dieci piccoli indiani di Agatha Christie. Affamata non solo di gelato alla nocciola e cioccolato in qualsiasi stato (solido, liquido, gassoso...), mostrando i miei numerosi chili in eccesso frutto di un profondo impegno nel dimostrare al mondo che "rotolare è molto meglio che camminare", i miei anni della pre adolescenza sono stati dedicati al cibo (zucchero amore mio) e libri, gialli.
E Dieci piccoli indiani era il giallo meglio scritto, più "sottile" mai letto.
Ma poi, all'età di 28 anni, in peso forma e con una predilezione per il salato ed il the verde, durante i meritati giorni di vacanza in alta montagna, Agata Christie si rivela un pò troppo retrò e sempliciotta.
L'Analista di John Katzenbach mi fa tornare piccina, con quasi 20 anni in meno, quando leggendo ogni cellula del mio corpo entrava in quelle pagine ruvide e dall'odore di carta impolverata. Finalmente un thriller dal finale non scontato ed inaspettato.
Peccato non aver fatto un altro personale record: 500 pagine in 10 giorni. Ma a questa "veneranda" età si hanno tante cose da fare: escursioni per eliminare un anno di tossine causate dal forzato lavoro, cucinare "senza zucchero", riassettare l'appartamento perchè si è donna e come dice mia madre "non sta bene che ci sia il letto da fare ancora nel tardo pomeriggio, cosa potrà mai pensare un uomo in casa". L'uomo non pensa, semplicemente non si accorge nemmeno che il letto non sia stato fatto. Si accorge soltanto che tu stia leggendo sotto le lenzuola (L'Analista) e non abbia ancora dato un accenno di libido perchè troppo presa dalla lettura.

Friday, August 20, 2010

Esperienza di vita n°2: se la prima non riesce, prova la seconda


E visto che il giorno prima a metà percorso un acquazzone ha deciso di riversarsi sulla mia testa, recidiva mi incammino in giorno dopo, col sole, verso uno dei rifugi più belli (e difficili da raggiungere): rifugio Ponte di Ghiaccio. Questa volta da lassù mi mandano segnali concreti: una suora di Verona ed un parroco in ritiro spirituale. La suora, sfinita dalla salita e dal freddo, chiede al bancone della Stube "qualcosa di forte, per cortesia", mentre il parrocco non sa dove prendere altre 2 mani in prestito per infilarsi più cibo possibile e contemporaneamente in bocca. Anche i figli di Dio alzano il gomito.

Esperienza di vita n°1: se ti manca il fiato, riposa

Darsi obiettivi anche in vacanza non è poi così male, soprattutto quando sei consapevole di saper fare una cosa nella vita: raggiungerli più o meno bene. Trascorrere le vacanze al mare ha l'obiettivo primario di raggiungere un'abbronzatura invidiabile al ritorno. Trascorrere le vacanze a casa ha come obiettivo le "pulizie di Pasqua", anche se siamo ben lontani dalle uova di cioccolato. Trascorrere le vacanze ospiti di qualcuno ha l'obiettivo del risparmio, "tirare la cinghia fa bene" diceva mio padre.
Trascorrere le vacanze in montagna ha l'obiettivo di "macinare" vette e chilometri. La sera precedente un'escursione è un attento studio della cartina topografica: percorsi di difficoltà media (tanto che sono qui almeno mi sforzo un pò...), tempi di percorrenza non inferiori alle 3 ore (da meno è da principianti, si pensa...), vette limitrofe a ghiacciai (i monti "bassi" sono "da anziani"). La sera al ritorno dall'escursione sono dolori.
Percorrere un sentiero di media difficoltà e di ore ed ore di cammino comporta la visione di qualche santo minore già dopo 2 ore e mezza di percorrenza ad una discreta pendenza. Dopo le 3 ore e mezza si avvicina la Madonna che ti dice "sei vicino, non puoi tornare indietro, sarebbe gettare la spugna". Eh sia mai, mi sono posta un obiettivo anche in questa vacanza, anche in questo percorso! Mangio una barretta proteica energetica per illudermi di acchiappare qualche brandello di energia e si riparte.
Dio appare al raggiungimento della meta, solitamente il rifugio, per complimentarsi.
Questa volta mi è apparso in impermeabile causa pioggia e mi ha consigliato un'ottima omelette ai mirtilli rossi. Poi però mi ha fatto un repentino cenno di saluto consigliandomi di iniziare la discesa ("la pioggia non accenna a darsi pace", parla così Dio).

4 ore di salita, 2 ore e mezza di discesa. Forse l'obiettivo non era proporzionale alle mie capacità, ma qualcosa di paradisiaco l'ho visto veramente. Il panorama da lassù.

Sunday, July 11, 2010

Tanti amici ma troppa solitudine

Il male del nostro tempo è la solitudine. Volto riverso della cosiddetta globalizzazione. E molti pensano e danno da pensare che questa cagna che morde il cuore di tutti la si vinca con la comunicazione. Mentre invece no, è l'amicizia che vince la solitudine, non la comunicazione. Eppure lo dicono, più o meno apertamente: si propaganda un uomo-monade, un'isola, un singolo autodeterminato che comunica un sacco. Basta essere connessi al mondo e non si è più soli. Siamo invasi di strumenti per connetterci con tanti altri: così, si dice, è possibile avere relazioni, vincere la solitudine. Tanto è vero che, non a caso, su Facebook si chiede "l'amicizia". [...]
Ma in questa epoca chi sta parlando, raccontando e, di più, facendo vedere l'amicizia? Grandi romanzi del passato ne hanno parlato in modo commovente. [...] Ma sembra che l'amicizia sia un tema ormai disagevole, d'altra parte si pensano leggi per persone sole. Troppe volte il termine "individuo" maschera la solitudine delle persone. Ma senza amicizia un uomo muore dentro, e anche una società muore dentro. Nel Vangelo si narra di un Dio che compie la sua rivoluzione chiamando i suoi fedeli "amici" e non più "servi". Anche Dio dunque chiede d'esser conosciuto per amicizia e non per sottomissione. [...]
Ci rimane solo l'amicizia per il tempo libero? Gli amici delle vacanze, quelli dell'aperitivo. Ma cosa è un'amicizia legata solo allo svago e non all'impegno con la durezza della vita? Non c'è bisogno di ricorrere alle pagine antiche di Cicerone. O alle frasi acute di Oscar Wilde sul tema. Ma occorre trovare risorse ancora per far vedere la forza dell'amicizia. Specie oggi, quando la crisi tende a far sentire tutti più isolati, nonostante gli infiniti mezzi di comunicazione.

di Davide Rondoni, Il Sole 24 Ore, domenica 6 giugno 2010

Wednesday, June 2, 2010

Here we are

C'era una piccola parte di New York che mi faceva sentire a casa, in Italia: il piccolo mondo fatto di strette traverse che conducevano all'arteria più conosciuta: Mulberry Street.
Sentirsi in Italia a Little Italy non era così scontato, soprattutto per l'italiano (io) che non ama sentirsi una continua caricatura, perchè Mulberry St. è proprio questo: la caricatura di un'affollata Napoli e di napoletani urlanti che tentano di fare quello che noi italiani riusciamo a far meglio, far sembrare ogni cosa provenga dalla nostra nazione (noi italiani compresi) un qualcosa di straordinario e venderlo ad un prezzo sempre più alto di quello che vale realmente.
L'Italia di Mulberry St. era una grottesca e chiassosa città del Sud con qualche parole biascicata in inglese. L'Italia più nostra, vera, quella meno scenica da rappresentare anche all'estero, l'ho vissuta in Broome St., seduta al Caffe Roma Pastry. Un cappuccino che equivaleva al ritorno alle mie abitudini di casa ed al calore umano delle persone intorno a te che "fuggono" e che osservano ciò che hanno intorno.

C'è una piccola parte del Nord Italia che mi fa sentire come negli Stati Uniti d'America: Aviano e Pordenone. Aviano è la sede di un'enorme base militare NATO americana. Pordenone è la sede delle famiglie americane a seguito dei militari operativi nella base. Parlare inglese a Pordenone è più frequente di quel che si possa pensare e doveroso, visto che buona parte dell'economia che continua "a girare" in questa provincia friulana deriva dal consumo degli immigrati americani.
Un consumo che è divenuto, negli ultimi anni, a loro immagine e somiglianza. Aviano e Pordenone accolgono un numero propositato, per numero di abitanti, di pub con produzione propria di birra ed alcolici.
Se mangiare un polletto ruspante intero con salsa e patatine fritte con le mani non vi sembra abbastanza "una abitudine" americana, aggiungeteci boccali di birra e arachidi da sgranocchiare in ogni parte del locale, con possibile rottura del femore ad ogni movimento, visto che le bucce di quest'ultimi devono essere tassativamente buttate a terra. 
Ringrazio i miei cari amici di Pordenone, a conoscenza della mia passione per gli uomini in divisa (solo da guardare), che scegliendo il locale BEFeD ad Aviano per una serata di sane chiacchiere, davanti a qualcosa di buono da mangiare, hanno realizzato tanti miei piccoli sogni: visitare una base militare su cui raccontarmi aneddoti e verità, farmi mangiare con le mani un pollo intero, farmi osservare da miriadi di occhi di uomini in divisa militare. Peccato io sia particolarmente vorace e maldestra: vedermi grondare olio e pollo dalle mani e dalla bocca non dev'essere stato un gran spettacolo per i miei militari americani in divisa!

Tuesday, May 11, 2010

Little miss sunshine



L'appuntamento fisso era ogni sera, alle 19.00, sul divano in salotto... Avevo poco più di 5 anni e già sapevo che un tipo come Don Johnson mi avrebbe regalato emozioni. Poi in realtà, scoprii che chiunque con giacca e pantaloni bianchi e mocassini (giustamente senza calze) avrebbe potuto richiamare la mia attenzione, ma per il cattivo gusto nel vestire.
Mi caricavo sentendo già la sigla di Miami Vice, muovevo quel culone che pian piano sarebbe lievitato per poi esplodere all'età di 13 anni.
Ed oggi, più di vent'anni dopo, mi carico ancora ascoltando sull'ipod quella stessa sigla. Da grande, oggi, pensando a quanto Don Johnson stesse bene con qualsiasi straccio.

Sunday, May 9, 2010

Una allegra ragazza morta

Pordenone ha qualcosa di speciale.

3 ore e 15 minuti di sottofondo diverso, ogni volta, come se cambiare la colonna sonora potesse farmi vedere ogni volta piccole e grandi cose di cui non mi sono accorta durante il viaggio precedente.

Da quando ho letto che questa piccola perla del Friuli è la piccola Seattle italiana in quanto culla e capitale della musica underground in Italia, la colonna sonora è diventata autentica: Prozac+, Tre allegri ragazzi morti, Africa Unite… Solo alcuni nomi di personalità musicali che hanno preso alla lettera un famoso detto friulano "fasi di besoi", il "do it yourself" dei punk. Corrente del fare che rende Pordenone ed il suo entroterra una zona ricchissima di idee, che diventano fatti e non solo pugnette. Questo è il modo di fare del pordenonese: ci provo da solo, se non riesco…poi ci penso.

Molto simile a me, sarà per questo che mi sento molto autoctona qui.


Ho punti di riferimento, forse ancor di più che nella città in cui vivo.


Il locale in cui pranzare e cenare orientale, un misto di cucina giapponese e thailandese, un piccolo ristorante fusion in cui ogni mese le pareti cambiano colore ed aspetto, perché ogni mese ha luogo una mostra d'arte con artisti diversi: Weest. Essere accolti ormai col nome è sintomo di una certa frequenza… Peccato mi chiamino col nome dell'azienda a cui faccio intestare le fatture, ma credo sia questione di tempo per passare al nome di persona fisica e non giuridica...


Il luogo in cui rilassarsi e "farsela raccontare", per donne sempre di corsa (o in fuga?): Atmosfere Grace, in cui tutto costa parecchio e per tutto c'è una sola motivazione, "l'eccellenza ha il suo valore Signora". P.S. Andarci a metà mese a stipendio appena versato sul conto corrente.


Le botteghe, le gastronomie del centro, i fruttivendoli che inebriano i piccoli vicoli con gli odori di fragole e verdura di stagione.

A Pordenone divento quello che vorrei essere sempre, che forse sono ma non faccio: la spesa dopo il lavoro, il supermercato, le tante borse in mano mentre cammino rasoterra sulle nuove ballerine che dovevano essere "un guanto" ed invece si sono trasformate, a fine giornata, in una trappola per topi. Salire all'ultimo piano, a piedi se l'ascensore tarda ad arrivare, inserire una pesante chiave in ottone ed avere un delizioso appartamentino in prestito anche per questa settimana. Cucinare nella mia piccola cucina, apparecchiare per me, versarmi un bicchiere di vino friulano (Cabernet Franc della tenuta dei Principi di Porcia tutta la vita!!!) mentre il cous cous con le verdure cuoce.

Chiamare tua madre solo per dirle "sto bene", chiamare tuo padre solo per dirgli "è andata bene anche oggi, sono carica come una molla", scrivere alla tua migliore amica "sono a Pordenone, sto per cenare, ti voglio bene".


E finalmente cenare, questa sera durante un feroce temporale con tuoni ed un violento fruscio d'acqua...

Nessun pensiero. Solo... Senti che fuori piove, senti che bel rumore.

Tuesday, April 27, 2010

Un risveglio...



Il più bel risveglio che io conosca è quello di Barbara Snellenburg nel film Piccolo Grande Amore. Dormiente sotto una barchetta rovesciata sulla spiaggia, nota un qualcosa nuotare verso la riva. Si rivelerà (solamente) quel BRAVISSIMO attore di Roul Bova. Un film che vidi decine di volte da adolescente perché incarnava tutti i miei cliché preferiti in tema d'amore: lei principessa, lui molto buono (senso lato e figurato), ricchezza, promessa dell'amore eterno, tanti baci, location romantiche. La canzone che accompagna la libidinosa nuotata di Roul è, da allora, una delle mie canzoni preferite: distende ogni mio nervo. Caribbean Blue di Enya.
Destino volle che il Roul Bova della mia realtà volesse ascoltare della musica un pomeriggio di primavera inoltrata. E che scegliesse un cd di Enya.
Non ricordo se nella fase del corteggiamento iniziale questa mia piccola perversione per questo citato film del lontano 1993 fosse emersa.
Ed anche se fosse, la sua intuizione nel farmi ascoltare questa canzone una miriade di volte grazie alla comoda funzione repeat ha suscitato in me la magica sensazione di quella spiaggia e di un Incontro, quello con la I maiuscola.
Se fossi davanti ad uno "strizzacervelli" mi sentirei consolare: "signorina, lei ha rielaborato il suo ideale di amore e dolcezza, proprio quello che la sua psiche aveva pianificato dall'età della prima emotività".
Io credo di essermi semplicemente innamorata di un Roul che a volte conosce i miei desideri e paure più di me stessa.

Un pallido rifugio



Ci sono giornate in cui ti alzi protagonista di una canzone, che canticchi nella tua testa fin da colazione, mentre scegli la ballerina o la decollete idonea alla donna che vuoi essere quel giorno, mentre cammini verso il lavoro e accidentalmente entri al bar per prendere il secondo caffè. Una canzone che vuoi ti illuda ti faccia iniziare bene la tua ennesima giornata all'odore di croassant appena sfornati mentre ti rigiri ancora nel letto di uno dei tanti hotel.



Poi, all'improvviso, alla prima complicazione sul lavoro la colonna sonora cambia. Il ritmo si fa incalzante, come il rumore dei propri tacchi da una stanza all'altra. E ti senti protagonista di una canzone che scoppia di vita e di sonorità, che canticchi mentre cominci a maledire, verso fine giornata, una semplice verità: ma-chi-me-l'ha-fatto-fare.



Ed una semplice risposta: io, chiamami se vuoi... coglionaaaaaa

Saturday, April 10, 2010

Come ama una donna

Su una tibia, Ishiyama aveva ancora la cicatrice di una ferita che si era fatto da piccolo, giocando in un prato. Una ferita color ruggine, piccola ma profonda, fino all'osso. Quella volta, le aveva raccontato, mettendo un piede in fallo era caduto sul filo spinato e una punta gli si era conficcata così a fondo che estraendola aveva sentito un male tremendo. Kasumi gli carezzò con dolcezza la cicatrice, piena di compassione per Ishiyama bambino, chissà che dolore aveva provato, gli disse. Aveva pianto, infischiandosene della figura che faceva? Oppure aveva stretto i denti senza farne parola nemmeno con gli amici? Amare un uomo significava anche provare a immaginarlo in ogni momento e in tante situazioni diverse. Se avesse conosciuto Ishiyama a quell'epoca, l'avrebbe protetto come il proprio bambino.
Lui, invece, sosteneva di provare interesse unicamente per la Kasumi che aveva davanti in quel momento, solo quello gli piaceva. Veramente non gli importava nulla di sapere com'era prima di incontrarlo? In che modo e perchè era cambiata? Questo per lei era strano, insopportabile. Chissà, forse Ishiyama nutriva il vago sospetto in cuor suo lei rifiutasse il proprio passato. Anche quello era amore? Quando non riusciva a capire cosa gli passasse per la testa, Kasumi finiva col domandarglielo.
"Perchè non ti interessa sapere come ero prima?"
"Perchè mi piaci come sei ora", rispose Ishiyama per l'ennesima volta.
"Pensi che non sia cambiata? Che sia sempre uguale?"
"Non lo penso affatto. La prova è che, quando eri più giovane, non ti trovavo per niente affascinante".
"No, prima. Prima ancora di incontrarmi".
"Non è la stessa cosa?"
"E adesso perchè ti piaccio?"
"Perchè ora ti conosco meglio".

Sunday, April 4, 2010

Happy Living

Groucho Marx preferì leggere o vedere un film piuttosto che vivere… nella vita, pensò, non c'era una gran trama!

Scommetto che la maggior parte di noi, genere umano, più soliti a negarci la felicità che ad andare a cercarla, si soffermi qualche attimo dopo questa frase e pensi: si, in effetti…

E scommetto che la maggior parte di noi pensi di NON star vivendo, poi, una così gran "cosa". Diciamo, di star vivendo un qualcosa senza trama.


L'importanza di quello che si sceglie di vivere non ha dimensione. Lo scegliere nulla è catastrofico. Il rendersi conto di essere, anche io, anche tu, protagonisti, a volte troppo spesso attori, del nostro film porta ad uno stadio di consapevolezza che ci rende raggianti nel volerci sperimentare ogni giorno. Diventa quasi divertente lo svegliarsi ogni mattina e, dopo il ciak, sorridere curiosi della prossima sceneggiatura quotidiana. Posso perfino decidere di essere un personaggio "incazzoso", ma mi accorgo che è molto più difficile emanare negatività che positività, per sé e per gli altri.

Quindi, non ho voglia "di sbattermi": un sorriso è già un ottimo biglietto d'ingresso, ovunque si voglia entrare.


Se fossi un medico consiglierei la visione del nuovo ultimo film di Salvatores, Happy Family, in sostituzione a qualche seduta psicoterapeutica o a qualche goccia di antidepressivo. Il risultato, qui, sarà certo almeno, non si potrà non riflettere su quanto di nostro vogliamo ed abbiamo messo nella vita di ognuno di noi e di chi ci sta accanto.

Un film con trama che fa riflettere su quanta più trama ci sia dentro la nostra vita.

Thursday, March 25, 2010

I miei ospiti

Questa è la storia di una piccola sognatrice del Nord, carica di voglia di fare e di fare bene, che durante il lento e veloce scorrere delle cose, chiamiamole destino, conosce una piccola soldatessa, nel lavoro e nella vita, del Sud.

Arrivata nel Meridione, la piccola sognatrice del Nord sa che ci sarà tutto da fare e nulla da perdere, ma non sa ancora che sarà grazie alla soldatessa del Sud che "tutto" sarà fatto e sarà fatto bene.

Questa è la mia storia di diligente pedina del grande sistema che è l'industria e di una pedina più lontana dalla mano del giocatore ma molto più decisiva nella fase di gioco e di vincita.

Alessandra e Valentina, i nomi sono tutto, chi siamo a livello professionale non conta ora. Contava quando ci siamo conosciute, una notte d'inverno, in un aeroporto (tanto per cambiare) in cui ero appena atterrata e dove lei mi stava aspettando da un ora, ritardo dello scalo a Fiumicino. Un lungo viaggio in macchina per raggiungere l'hotel, durante il quale lei ha guidato attenta sotto una pioggia torrenziale, attenta soprattutto a me, mai vista, "delegata" dell'azienda da accompagnare alla missione, vestita di tutto punto e sempre al telefono chissà con chi e per fare chissà cosa (di certo non salvare il mondo anche se il tono le sarà apparso simile).

Questa è la storia di un'amicizia e di una fiducia, prima sul lavoro poi nella vita (o forse viceversa), di due donne che non provano invidia, che sono felici per le gioie dell'altra e che stasera hanno cenato a lume di candela nei panni di gente nobile.

Un vecchio palazzo costruito dai Borboni, nel lontano '800, quando ancora erano "padroni" del Sud Italia, sulla costa tirrenica della Calabria: "vivo" qui quando lavoro qui. No turisti, Si party. Sola a colazione ed a cena in un salone da 200 coperti, con metre più confidente di vita che di buon vino. La solitudine col sorriso non è poi così amara. Si, perché in un palazzo di 100 stanze, l'unica non a disposizione è la mia.

Avere il personale dell'hotel che lavora solo per una cliente ti fa sentire un po' la padrona di casa, una giovane e sola baronessa di altri tempi.

Ma stasera, finalmente, 3 coperti: io, Valentina ed il suo futuro sposo (settembre è ormai prossimo).

Finta nobil donna, "Baronessa dei culi cacati" (così mi chiamava mio padre dai primi mesi di vita quando mi doveva cambiare il pannolino sporco), Contessa Valentina di Blanchard sas (società per cui lavora), Conte Luca No Figa (si narra che durante un incontro di sesso con partner straniera, allungando una mano di troppo, abbia sentito un "di troppo" esordendo verso di lui\lei, non sapendo l'inglese, "no figa? I'm sorry").

Una cena lunghissima ma che sembrava appena iniziata, un vino bianco fermo siciliano buonissimo, una sogliola al pistacchio verde sublime, 3 visi contenti della presenza degli altri allo stesso tavolo, un piccolo tavolo al centro di un luogo con più di 200 anni. Aver bevuto, mangiato e scherzato dove l'hanno fatto per secoli i nobili.

I nostri titoli nobiliari non sono finti, sono nomi divertenti, ma non riesco a non continuare a stupirmi dei nobili veri, quelli di cuore. Che ho la fortuna di incontrare.

Monday, March 22, 2010

Il volo della domenica

Chi vola ogni settimana come se stesse prendendo l'autobus o l'auto per andare al lavoro, sa che i propri compagni di viaggio del lunedì mattina e del venerdì sera sono molto simili a sè. Siamo la compagnia Piquadro. Potrebbe non servire il biglietto aereo: accesso in cabina se hai una workbag o un qualsiasi accessorio del marchio. Senza non saresti un professionista che sta andando faticosamente a guadagnarsi "il pane" in trasferta, perchè "noi valiamo" (probabilmente la maggior parte ha all'interno della Piquadro una confezione di shampoo L'Oreal per auto-motivarsi). Non si parla, si legge Il Sole 24 Ore per tutto il tempo, si lavora sul portatile durante le ore di crociera, si legge La Repubblica o Il Corriere della Sera se si vuole staccare la spina, si legge l'Harvard Business Review persino in piedi durante l'attesa dell'imbarco. Silenzio, fino all'atterraggio e quando le gomme toccano il suolo dell'aeroporto, si piegano all'unisono giornali e quant'altro, ci si mette il soprabito di taglio sartoriale, si estrae il trolley Samsonite nero o grigio dalla cappelliera e si è pronti per andare all'attacco se è un lunedì mattina oppure in congedo per malattia, emicrania da calo di stress, se è venerdì sera.

Ieri, domenica, sono partita per anticipare lo sciopero dei voli del lunedì. I compagni di volo della domenica sono un'altra cosa. Sono coppie di anziani, di giovani, sono mamme con bambini, sono gruppi di amici. Sono persone che comunicano, che cominciano a lamentarsi dei minuti di ritardo del decollo "perchè Alitalia ha sempre fatto così" (mi chiedo cosa ne sappiate voi che prendete un volo all'anno se fa sempre così...), sono le timorose che all'inizio di una turbolenza tirano su il morale del genitore anziano affianco "papà, tieniti stretto, stiamo entrando in una bufera, non guardare fuori" (meno male che non era un tornado), sono bambini indecisi se divertirsi della novità di volare o piangere traumatizzati per tutto il volo. Sono le persone meno meccanizzate ed assuefatte dalle regole quelle del volo di domenica, quelle che ti fanno sorridere ascoltando i loro discorsi, si, perchè durante il volo loro parlano.
Nonostante tu, io, stia leggendo Il Corriere della Sera anche di domenica pomeriggio ed abbia una borsa Piquadro sotto al seggiolino.

Saturday, March 20, 2010

Sono una mina vagante

Voglio parlare di quella frenesia sottile che mi assale ogni qual volta "prendo e vado" sull'onda del "mi va". Di norma mi accade sola, perché solamente con me ho la libertà (questa tanto amata libertà) di non dover condividere parole, pensieri, anche pur banali decisioni sul dove parcheggiare.

Ed oggi, uno dei tanti sabati pomeriggio, dopo una settimana "tesa" e prima di una settimana "peggiore", prendo e vado al cinema, sola, alla visione delle 15.00, quella dei nessuno, quella delle coppie di amiche, quella dei solitari o amanti della solitudine come me. E' anche la proiezione in assoluto "per i pochi", la sala a tua disposizione. Posso sedermi come a casa, rannicchiata con i piedi sopra alla poltrona. Così adoro assaporare una storia.

La storia di questo pomeriggio è la storia dei personaggi finti erranti, che hanno paura di sbagliare e per questo seguono percorsi più giusti perché quasi imposti, che si possono percorrere facendo finta di non essere responsabili del percorso, "l'hanno scelto gli altri".

E' la storia anche delle mine vaganti, di quelli che scelgono di mettere le cose e le persone dove devono stare, di quelle che voglio sbagliare "per proprio conto".

Sbagliare per proprio conto. E' bellissimo.

E' questa la libertà di ognuno di noi.


All'uomo che dice di amarmi e di conoscermi, che dice "tu lotti sempre per ottenere le cose che vuoi nelle tua vita, credevi di essere libera ma ora soffri perché ti rendi conto che non lo sei" dico: libertà è tante cose.

E' poter decidere, poter sbagliare seguendo i propri pensieri ed il proprio cuore, è voler mettersi al proprio posto, dove si deve e si vuole stare.

Ed è anche prendere le chiavi della macchina dopo un lampo "vorrei andare a vedere quel film", guidare ascoltando Madonna ad un volume non consono fino in centro, incontrare un tuo amico-collega che ti abbraccia e ti dice allibito "vai al cinema a quest'ora da sola? Sei un mito…!!!" ed è sedersi al centro dell'ultima fila, in una sala enorme, vuota, rannicchiata come a casa propria.

E' commuoversi, perché così ho sempre fatto durante un film di Ozpetek.

E' uscire dal cinema in pieno pomeriggio e rifugiarsi in libreria per cercare un'altra delle tue cose "strane", il libro "tutti i figli di Dio danzano" del proprio scrittore preferito.


Ti rispondo, non mi sono ancora resa conto di non esserlo. Anzi, continuerò a fare di tutto per illudermi di essere libera. Sempre.

Infondo anch'io sono una figlia di Dio. E voglio continuare a danzare.

Sunday, March 7, 2010

Una serata come da tanto non...

I residui di un solo calice di brunello di Montalcino, anche se della cantina Banfi ed anche se 12,00€ al calice "fa già male", sono, stamane, il ricordo di una mangiata d'altri tempi.

Antica Trattoria "Al Vedel", Colorno, Parma.

Quel posto di cui tra la provincia di Reggio Emilia e Parma si parla tanto, per il culatello proposto in 3 stagionature diverse e per il dover prenotare "mesi" prima per riservare un tavolo.

Bello sapere che alcune cose resistono e fanno della propria storia il punto di forza. Al Vedel esiste dal 1780, prima come spaccio di generi alimentari e posto di ristoro, poi come antica trattoria con laboratorio di salumi, tutto questo coccolato dalla stessa famiglia e dalle sue diverse generazioni. Il nome deriva dal territorio, questa piccola porzione della provincia di Parma, Le Vedole, antica terra di salumi: solo qui si produce il culatello DOP.

Una buona dose di vino rosso in circolo per assicurarmi una buona cena: "i tortel dòls" di Colorno, i preferiti da Maria Luigia, moglie di Napoleone, che si faceva preparare ogni domenica durante le sue permanenze estive alla reggia di Colorno ed un dolce paradisiaco, gelato agli amaretti con zabaione cotto.

Sorvolo sul cinghiale al Barolo per secondo perché, purtroppo, ancora stamane sta tentando in tutti i modi di mettersi in contatto con me riproponendosi in continuazione. Non so cosa mi voglia dire.