Thursday, October 27, 2011

Mi chiamavano Tognan... (da "tognan caghè")


Quello che ero poco più di 10 anni fa è un mistero. Non perché non sappia come fossi. Ma non so come possa essere diventata un piccolo essere vivente molto ribelle, un po’ macabro e troppo mascolino.
Mi ricordano spesso i miei ex compagni di classe che i professori, durante gli anni del liceo, mi chiedevano il permesso di interrogarmi, perché se non era aria… pazienza, ci avrebbero riprovato.
“Alessandra, stai calma… posso farti qualche domanda?” In latino era sempre “no”.
I mezzi per comunicare con l’esterno erano il dito medio, esprimeva un po’ della mia rabbia, spaccare le cose, identificava il mio passaggio, mangiare pizza a spicchi di Olindo seduta su una panchina nel parco. Fin da allora non ho mai bevuto Coca Cola e bevande frizzanti.
Mi truccavo molto gli occhi, scuri, la matita nera era la prima cosa che prendevo in mano ogni mattina. Ora è il BlackBerry. Non che abbia fatto molti passi avanti…
Usavo vagonate di burrocacao. Non perchè usassi molto le labbra per baciare, anzi, all’epoca ero molto sulle mie e schizzinosa.
Vestivo quasi sempre di scuro. I Dottor Martins neri. Ne avrò consumati 3 paia in 3 anni… del resto si camminava “strisciandoli”, le suole non potevano fare a meno di limarsi.
Dopo i 16 anni cominciai a frequentare qualsiasi forma di concerto metal. Nacque il vizio di ascoltare la musica troppo alta, sia nell’ipod sia in macchina. Da perversa ascoltando Marylin Manson (ed andando ai suoi concerti immersa fra gente che non riesco nemmeno a descrivere… avrò rimosso) mi trasformo in intenditrice: Metallica, AC DC, Iron Maiden, Korn, Nine Inch Nails…
Detestavo la musica italiana. Troppo dolce per una “dura”.
Mangiavo solo pizza, quattro salti in padella Findus e patate.
Cominciai a sentire un immenso piacere ed interesse nel viaggiare. All’inizio non capivo se era il benessere dello “scappare”. Invece no, era il piacere di vedere e conoscere altrove. Scrivevo già, in modo un po’ troppo personale e confuso. In italiano avevo la media del 6 perché il professore non capiva i miei temi. “Sei troppo astratta”. Lui era un po’ troppo concreto… che senso aveva scrivere riassunti sulla società italiana al tempo del fascismo quando quegli anni erano i più difficili ed emotivi nella vita di una giovane recluta del mondo? Quindi… scrivevo nei temi quello che avevo voglia di dire, andando “fuori tema”.
Mi sentivo sempre fuori tema.
Nacque il “sentirmi a casa” in un locale che divenne il nostro “covo”, il Vampyria. Mi ricordo una vigilia di Natale festeggiata a bere “anime nere” ed a mangiare “vampyzza” ascoltando musica gothic metal. Ho uno splendido ricordo di quella vigilia, perché feci per la prima volta esattamente quello che avrei voluto fare.
Ero ancora alle prime armi, dovevo capire cosa fare e soprattutto se quel qualcosa era un mio volere o un’aspettativa degli altri.
Giusto, gli altri. Per me GLI ALTRI non esistevano. O meglio, cercavo di non vederli. Gli altri erano dolore, forzature, rabbia.
L’immagine di quegli anni sono io seduta in riva ad un fosso, dove il mio primo cane stava facendo il bagno.
L’immagine di quegli anni sono io rannicchiata a letto nel convincermi che scappare di casa non sarebbe stata la soluzione più ottimale.

E’ tutto questo che mi rende quasi sempre così nervosa ancora oggi? Oggi che non mi trucco gli occhi di nero ma cucino torte ogni week end? Oggi che non ho rabbia verso gli altri ma amore verso i più? Oggi che ripenso a quegli anni con serenità, forse perché il peggio è passato.

Tuesday, October 25, 2011

"Sto malissimo..."


Tornare a respirare… è un’emozione fortissima. Bellissima. Non che l’apnea sia durata pochi minuti… Anni. Ma non mi importa ora. Ora mi interessa capire quello che ho intorno. E dentro.
Ci vuole tempo, volontà perché la cosa più semplice è sempre posticipare. E negare l’importanza delle cose che fanno male.
Ho sempre avuto poco tempo per spiattellarmi in qualche dove, in casa, e guardarmi un film. Più facile era ed è sedermi al cinema, possibilmente non un multi-sala ma una saletta di paese o di centro storico. Qualsiasi fosse stata la natura della settimana trascorsa… il venerdì sera il mio posto era (ed è) là.
L’impossibilità di uscire mi costringe a spalmarmi sul divano ed a vivere un film in modo diverso.
Rai5 è diventata un’ossessione. I film delle 22.00 di rai5 il mio nuovo cinema del venerdì.
E mentre viene trasmessa la reclam di Campari Soda dal jingle poetico “siamo mondi da esplorare” mi preparo una calda tisana di cardo mariano per godermi il film più goduriosamente possibile. Un tempo mi sarei preparata dei popcorn…
Stasera in salotto proietto “Amarsi può darsi”.
Una movimentata e contemporanea storia d’amore (e di divorzio).
Una relazione che nasce in piena gioventù, vista da lei e vista da lui. “Una bella testa” di cui innamorarsi per lei. “Un gran bel culo” per lui. “Io voglio una svolta nella mia vita, un uomo concreto, reale, che mi ami, mi dia affetto, mi capisca, mi ascolti”, lei. “Noi siamo troppo diversi, vogliamo cose diverse. Il solo pensiero di svegliarmi ogni mattina e vederti, sempre in quella casa, sempre in quel letto… mi viene male”, lui. “Io voglio un figlio, ci vuole un figlio” lei. “Ma tu sei pazza, cosa credi che non mi sia accorto che buchi i preservativi con una spilla?!?” lui.
Un flashback lungo tutto il film che riporta alla scena iniziale, di lei e di lui in compagnia dei rispettivi avvocati in tribunale. “Voglio vedere come ne esci questa volta”, lui. “Sicuramente senza di te”, lei.
Trattasi di film di “formazione” per la futura maturità… Come “Il giovane Holden” letto a 15 anni….

Come se fosse....


- Cresce perché lo nutri, - aveva l’abitudine di dire una mia prozia quand’era viva. Questa prozia, nonostante l’età avanzata, era di mentalità ben più aperta di mia madre. Dopo la morte del marito aveva avuto diversi “fidanzati”, con i quali andava fuori a cena, faceva gite, giocava a gateball.
- L’amore più o meno si riduce a questo, - diceva sempre.
Se era un grande amore, era indispensabile prendersene cura, come si fa con una pianta dandole fertilizzanti e proteggendola dalla neve. Se invece era un amore da poco, bastava non occuparsene e si poteva stare tranquilli che prima o poi sarebbe morto.
Alla mia prozia piaceva ripetere queste cose come se fossero giochi di parole.
Secondo la sua logica, bastava che stessi per qualche tempo senza incontrare il professore, e sarei probabilmente riuscita a far inaridire il mio sentimento per lui.
E così di questi tempi cerco sempre di evitarlo.

Da “La cartella del professore” di Kawakami Hiromi

Saturday, October 15, 2011

Calma....


Non che una convalescenza segua un buon momento, dolore e malessere, ma si sta rivelando più prolifica di quel che avrei mai immaginato.
La mia incapacità di rilassare corpo e mente, come se fossi un filo ad alta tensione 24 ore dal lunedì al venerdì con sprazzi di spensieratezza APPARENTE durante il sabato e la domenica. Non sa da fa. La sconfitta più grande è rendersi conto di non aver imparato a farsi del bene, forse la prima cosa da imparare e da insegnare.
Il mio “non ho tempo”, espresso sotto varie forme di menzogne e limiti personali più che reali. Quanto tempo ci si fa rubare ogni giorno? Il bene più prezioso è il tempo che dedichi alle piccole cose. Guardare un picchio al mattino al risveglio aggrappato ad un tronco d’albero, mentre fai colazione con tuo padre. Non c’è più il tuo caffèlatte, quello che bevevi ogni mattina da 10 anni, c’è the col miele. Ma c’è tuo padre.
Le visite di amici e parenti mi stanno facendo conoscere persone con cui, forse non per scelta ma per fretta e superficialità, non parlavo in modo sereno e scontato da tempo. Ho rivalutato il ruolo della zia: non madre, ma molto intima, quasi un’amica. Esserlo è un dono da non sottovalutare.
Cucinare mi piace tanto, anche se riesco a farlo con un motore a scoppio: 10 minuti di impasto e creatività, 10 minuti di riposo. Un “garino” con un anziano mi vedrebbe perdente. Con le giornate a mia disposizione, finalmente le passioni si manifestano: ore di letture su un divano sempre più scomodo, cucinare qualcosa di diverso che vada al di là delle mie piadine biologiche al kamut col crudo di Parma, i film d’autore. Le chiacchiere. Ed io sono sempre stata di poche parole.  

Friday, October 14, 2011

Doraemon Emmonete e Scimmietta occhi grandi


Vi ho incontrato lungo questa strada un po’ tortuosa, non so perché sempre dissestata e non asfaltata. Non che le vostre strade siano state diverse, con meno tornanti e meno in salita. All’apparenza così diversi, poter condividere gli stessi valori, le stesse piccole cose di cui ridere, emozionarsi, commuoversi è un lusso che mi rendo conto di avere.
Ricordare una serata su un letto di ospedale, dopo un po’ di sofferenza ma più paura, come una delle serata più belle mi fa sorridere. Potrebbe essere assurdo. Ero tornata a ridere, nonostante i punti dell’intervento si facessero sentire. Non erano solo le cazzate che a turno spariamo. Era la felicità di avervi li, di poter contare su di voi durante i giorni più difficili che abbia vissuto ultimamente.
Amo il tempo che trascorro con voi, anche solo per l’ennesimo film guardato scomodamente in cucina mentre vi ingoiate le torte che preparo. Vi voglio bene, che va al di là di quello che sono le nostre vite al di fuori di noi.
Grazie, esserci sempre è quello che di più caro mi avete sempre dato.