Wednesday, October 29, 2008

Una mia serata gangster


Quando, stranamente, ho voglia di voci in sottofondo e, chiamala se vuoi, compagnia, non riesco a trovare nessuno nell’arco di un’azienda di 100 unità umane che venga a pranzo con me al ristorante giapponese. In realtà mi sono dimenticata di chiederlo alla segretaria marocchina del primo piano, ma non credo mi avrebbe detto di sì. Avremmo potuto approfondire i nostri brevi scambi in ascensore o sulle scale sull’importanza di avere un uomo ricco e di forte carattere al proprio fianco (lei lo sta cercando, io ho trovato forza di carattere ma cene “fuori” limitate) e sulla necessità di sapere molte lingue e viaggiare per aprire opportunità di lavoro e mente (sono pienamente d’accordo).

Mi incammino sulla mia utilitaria da sola (mi piace molto, in realtà “sola”) con in sottofondo il cd masterizzato, che salta causa usura, delle hits dance più “da intenditore”. Quando andavo al liceo facevo dei “viaggi” (mentali, non chimici e “stupefacenti”) molto dettagliati quanto fantasiosi sulle canzoncine dance. Ballavo chiusa in bagno con la musica a palla, facendo finta di ballare sul cubo di una famosa discoteca in voga, immaginavo i ragazzi in delirio nel vedermi in tutto il mio splendore. Beh, a quei tempi studiavo molto, quindi da qualche parte l’idiozia dovevo pur sfogarla.

Arrivo al mio ristorante preferito, parcheggio, cerco di attraversare la strada da sola (ho un problema di coordinamento carreggiate di senso opposto quando devo attraversare la strada, poi mi viene l’ansia, rallento tutto d’un colpo, accelero, insomma…normalmente chi è con me mi da la mano per attraversare la strada) ed entro. La cameriera arguta mi vede da sola senza colleghi, io esordisco “sono sola oggi”, mi fa sedere. Ordino porzioni doppie di yaki gyoza, california maki e tè verde.

Fortunatamente, nessuno è voluto venire con me a pranzo. La tranquillità mi ha pervaso in ogni dove. Purtroppo però, devo ammettere che soltanto i ristoranti giapponesi mi permettono questo agio nell’essere da sola durante il pasto. Qualsiasi altro ristorante con cucina differente, anche emiliana, di casa mia, mi fa sentire “donna sola e asettica”. Mi è venuto in mente di cercare, se esiste, una guida “alla Michelin” di tutti i ristoranti giapponesi in Italia. La mia serenità durante qualsiasi viaggio di lavoro e di piacere sarebbe assicurata.

Seduti ai tavoli dei ristoranti giapponesi c’è spesso gente sola. Io sola controllo la posta elettronica sul blackberry brandendo la mia agenda (leggi, “farsi etichettare come donna con un certo potere professionale”, anche se io non ho nessun potere ma solo capacità, tra l’altro non viste e valorizzate, ma la frustrazione sarà un racconto a parte), una giovane donna seduta accanto a me legge alcuni appunti e ne prende altrettanti (leggi, “non ho tempo da perdere nell’alzare il “muso” dal piatto, devo creare, controllare, ho le sorti del mondo sulle spalle), un uomo altrettanto giovane siede davanti a noi e ci fissa. Ma non era l’uomo la colonna portante dell’economia mondiale? Non dovrebbe essere l’uomo a controllare e-mail anche durante il pranzo ed a scrivere idee? Capisco Michelone quando mi dice “farò io il mammo, tu avrai tutto il tempo per fare carriera”. Forse dovrei credergli.

Durante il pomeriggio, dopo che il mio capo mi aveva detto di fare una cosa urgentissima ponendola davanti a tutte le altre che avrei dovuto fare, avendo fatto questa cosa ed avendogliela portata di corsa ed avendo ricevuto in risposta “ah Alle, ora non mi serve più. Ho risolto in un altro modo. (4 secondi in cui io divento verde ed abbozzo un sorriso ironico che suggerisce l’idea “crepa, stronzo”). Comunque grazie”, mi chiama la Filo dall’interno 720. “Alle, stasera cosa fai?” ed io “Un cazzo”.

Lo so, detto da un viso dai lineamenti delicati come il mio, tale vocabolo può risultare poco appropriato, ma rendeva bene l’idea.

“Usciamo…ti prego”. “Vampyria, anzi no, Filo, andiamo al cinema”. “Eh, ma cosa andiamo a vedere?” “Aspetta che apro Trovacinema e guardo. C’è Albakiara.” “Ah, quello su Vasco”.

Non sapevamo cosa stavamo facendo. Non solo il film non ha nulla a che vedere con Vasco Rossi se non le canzoni della colonna sonora ed un interprete, non si può chiamare attore un cane pure sfigurato come quello, che è suo figlio. Ma Stefano Salvati, il regista, andrebbe messo in manicomio. Toglietelo dalla circolazione, non fategli toccare una macchina da ripresa, non fategli creare, anche solo pensare ad altri film. E’ un pericolo per tutti noi, potenziali fruitori delle sue “cagate”. Idea buona quella di creare un film sulla nuova generazione da lui definita K (perché K? Non era X? Ah, ora è K perché i giovani scrivono K al posto del CH negli sms?), fatta di giovani drogati, sesso dipendenti, amorali, sempre in cerca di soldi (beh, questo anche io che appartengo alla generazione PFCS, Pezzenti Fieri Col Sorriso). Questo dovrebbe, potrebbe, anzi, far riflettere su un lento degenero di ciò che di puro rimaneva (i giovani) ed invece rimane (solo i bambini). Ammetto di essere rimasta allucinata da una realtà di cui si sente parlare ma non tocco più con mano (non ho nipoti, cugini, amici adolescenti), ma di cui non ho dubbi sia così oggi.

In ugual misura alllucinata da un montaggio ed una sceneggiatura che non hanno niente a che vedere con qualcosa chiamato “film”, da dialoghi ed interpretazioni al limite della candid camera in sala per vedere come reagivano gli spettatori. La protagonista Laura Gigante è “una pietà”, sicuramente non bella come quella di Michelangelo. “E’ la mia prima esperienza, mi sono calata completamente nella parte, nel personaggio che dopo le riprese ho avuto difficoltà ad abbandonare”. Eh, cheddire, non so cosa ne sarebbe uscito se non si fosse calata nemmeno nel personaggio.

Il film inizia con un racconto di Albakiara: “vuoi che ti racconti una mia serata gangster? Allora, mi era venuta una gran voglia di fumare, ma sai dove? Nella vasca da bagno. C’ero io, il Gappo e Stuca. Ad un certo punto ho sentito qualcosa di duro dietro la schiena. Eh va beh dai, è normale, completamente nudi. Poi mi sono alzata, ho cominciato a toccarmi, il Gappo mi ha messo a novanta…il Stuca me lo ha ficcato…io ero strafatta.” Primi 4 minuti del film. Esilaranti. Ma il meglio sarà la fine, quando lei muore con un proiettile in testa ed il suo assassino le grida: “è finito il tempo delle mele, puttana”.

Ecco, l’ultima frase vale gli 8 euro del biglietto. Ed io e la Filo abbiamo deciso di fare più spesso serate gangster.

Thursday, October 23, 2008

Anche alla Paoletta piace Lucarini

La bistecca di bisonte era sottile e gustosa. Poi, si è creato un miscuglio strano ma soddisfacente al palato fra broccoli e cipolla all'aceto balsamico come contorno. Ovviamente, caffè macchiato per concludere un buon pranzo. Anzi no, il pranzo di oggi si è concluso in modo impeccabile con "le perle della Filo". La Filo mi ha offerto il pranzo perchè in libreria, ieri sera, non aveva trovato il libro giusto per me: "tu Alle sei un pò esigente". Ha comprato un libro "sulla mafia" alla Paoletta, "perchè lei si intrippa con stè cose, mafia, camorra, gialli". Pochi secondi per collegare la Paoletta ad un mio post su Lucarelli e deliziarmi di "Eh, alla Paoletta piacerebbe un sacco Lucarini". Sì, anche secondo me Filo, potrebbe interessarle.
Scopro con piacere che io e lei siamo un pò monotematiche nei nostri incontri. Quando ci si incontra si affrontano pochi argomenti alla volta, ma ci si arriva in fondo. Quindi credo sia un pregio scindere ogni volta i temi più urgenti ed interessanti di cui discutere. Oggi riflessioni doverose sulla convivenza o il matrimonio. E sul pranzo al sacco, che talvolta diviene una necessità.
Stamattina ho deciso di vivere la mia giornata canticchiando "sono un eroe, perché combatto per la pensione" di Caparezza. Indecisa se andare al lavoro con un gran mal di gola e qualche linea di febbre, ho deciso di essere temeraia. O forse...cogliona.

Tuesday, October 21, 2008

Quando ce n’è bisogno

Quando dalle solite “frasi fatte” emesse dalle bocche di amici e, perfino, sconosciuti apprendi ciò che prima o poi ti accadrà realmente, rimarrai stupita dalla straordinarietà di ciò che ti circonda e di ciò che potresti e puoi vivere.

Forzare le cose ti insegna ad aspettarle, per avere quelle giuste.

Cercare invano ti insegna a saper ricevere quando sarà ciò che cerchi ad arrivare.

E la cosa più sorprendente di ognuno di noi è il poterci ascoltare, ascoltare ciò di cui avremmo bisogno.

Quando ce n’è bisogno, di quella cosa, qualunque sia, questa andrebbe fatta.

Sono un essere alquanto bisognoso. Ho bisogno di tante piccole cose, anche nell’arco di una semplice giornata: una colazione che mi soddisfi ed il poterla consumare con calma, il poter leggere il “mio” libro del momento per almeno 10 minuti seduta ovunque, non ho grandi pretese, il kiwi, il caffè macchiato dopo pranzo e così via. Ognuna di queste piccole cose mi procura un immenso piacere, immenso nel tempo in cui dura, il tempo stesso in cui sto compiendo quell’azione.

Ci sono bisogni che avrei (ho) quotidianamente ma non posso appagare. Allora questi si ribellano e dopo poco scoppiano, provocando in me una voglia irrefrenabile di soddisfarli.

I bisogni sono i nostri padroni, veniamo manovrati da questi. Spesso ci illudiamo di controllarli, sconfiggerli, ma noi stessi siamo sconfitti in partenza, perché soddisfare qualsiasi nostro bisogno ci rende esseri soddisfatti e felici. Vincere sui bisogni significa aver vinto su noi stessi, aver contribuito alla nostra sconfitta come esseri umani col diritto di godercela e non solo di “tenere duro” e “fare ciò che si deve fare”.

Spesso ho bisogno di dimenticarmi del domani e persino del “da dove vengo”. Parto, quasi sempre organizzo almeno “un letto”, ma più per abitudine alla comodità che per mantenere l’alone da “tutto sotto controllo”.

Questa volta sono partita per dimenticarmi “del dolore fisico” (leggesi mal di schiena e testa da stress) ed il viaggio, pur sempre importante, ha condotto ad una meta, però, ben più spettacolare e piacevole.

La tanto discussa spa, costosa, “da fighetti”, da vecchi… da “me”.

E sono riuscita a trascinarmi, senza corde e fruste, l’uomo tutto d’un pezzo che “queste cose” non le ha mai fatte. Lo stesso uomo che ha goduto più di me nel trascorrere ore in ammollo e contornato da nudità.

Eh si, perché Lago di Garda è sinonimo di ritrovo turistico per tedeschi e la spa che mi ha accolto per un week end era proprio su questo lago. E anche questa spa non poteva non ospitare gioiosi tedeschi, dalle usanze senza tabù e malizie.

La prima vergognosa performance che ci ha visto protagonisti, io e Michelone, si è svolta nella vasca idromassaggio. Michelone comincia a parlarmi in inglese sciolto, veloce, sul cosa fare e mangiare a cena credendo che una coppia di fianco a noi fosse tedesca od olandese. La coppia era molto silenziosa, non c’era molto dialogo tra di loro, forse una coppia d’altri tempi, che vive di sguardi e di “sfiori”. Oppure una coppia che si è già detta tutto, oppure una coppia molto fredda e distaccata. In realtà era una coppia di inglesi, che parlava inglese e che si è sorbita un teatrino divertente di due italiani che fingevano di essere “inglesi”. Forse… anche loro avranno parlato inglese perché ci credevano inglesi ma non lo erano veramente? Mmm, credo che abbiano parlato inglese perché inglesi ma ci hanno reputati comunque dei cretini.

Al primo posto nelle performance da vivere almeno una volta nella vita c’è il “bigolo moscio stropicciato” del tedesco anziano che ti si piazza davanti durante una seduta di rilassante bagno turco.

Decisi a vivere le nostre diverse passioni, io il bagno turco, Michelone la sauna, ci chiudiamo nei nostri sgabuzzini limitrofi a morire carbonizzati e sciolti, quando ad un certo punto si percepisce un po’ di fervore all’esterno. Dalla porta di vetro, resa opaca dal vapore e dai fumi balsamici, intravedo figure femminili nude. “Pfeuh, se entrano, sono la più soda” comincio a pensare. Entrano nella sauna dove vegetava solo Michelone:“bah, non sono gelosa, sono vecchie”. Un lampo, anzi, saetta: “cazzo, a Michelone piacciono le tardone”. Mi distraggo un attimo ed allungo il collo per accertarmi della piega che comincia ad assumere la situazione.

La porta si apre proprio mentre mi sporgo, entra un pisellino non più giovane, penzolante, che chiede pietà per la troppa calura e che pian piano si avvicina. Qualcuno mi saluta “Hello”, “Hello” rispondo io non capendo ancora se il saluto provenisse dalla bocca del signore o dal suo sofferente pistolino che mi chiedeva aiuto. Si siede di fronte a me il pistolino e mi guarda; il signore mi dice in tedesco di accertarmi se aveva chiuso bene la porta. Mi alzo ed in pochi secondi decido di chiudere bene la porta e di rimanere. Perché mai dovrei uscire! Mi risiedo, il pistolino continua a fissarmi. Decido di rilassarmi per bene, chiudere gli occhi e basta, semplicemente. Ma mi sento lo sguardo del pistolino ancora addosso, che mi dice “vattene se rimani vestita o resta ma spogliati”.

Intravedo Michelone uscire dalla sauna…pochi secondo e scappo, “Hello”. “Hello” mi risponde, ma non so anche stavolta se il signore o il pistolino.


Saturday, October 11, 2008

Riflessioni su attori, cioccolato e liberta'

Non so se perché interpretò un prigioniero ne Le ali della libertà oppure perché il suo cognome tranquillizza, “uomo libero”. Morgan Freeman mi calma. E’ come un sedativo dopo una crisi isterica oppure magnesio in dosi massicce per gli attacchi di emicrania.
Qualsiasi sia il suo ruolo ed il suo film, i suoi nei neri su un viso color cioccolato mi infondono pace. Sarà perché il suo volta mi ricorda una pralina di cioccolato al latte?
Mi succede la stessa cosa con Denzel Washington, ma in questo caso sopraggiunge un non so che di libidinoso e non riesco a rimanere proprio impassibile.
Mi da l’ansia Kim Rossi Stuart. Uno degli attori italiani migliori, è talmente bravo e recita sempre in parti talmente “sfigate” che mi dà i nervi. Delinquente tossicomane in Cuore Cattivo, marito-padre abbandonato e squattrinato in Anche Libero Va Bene, introverso malvivente psicolabile in Romanzo Criminale. Film con Kim consigliabili soltanto in un momento di calma interiore e psiche ferma e sicura di sé.
Ad ego soddisfatto di me, ho rivisto Cuore Cattivo. Un film che narra le sorti di un giovane rapinatore che finisce nella casa sbagliata (o giusta?) nel divincolarsi dalle forze dell’ordine e prende in ostaggio una ragazza portatrice di handicap. Anzi no, il film narra di come da un momento all’altro la propria vita possa completamente variare forma. Si, il film parla di scelte e di non scelte. E le non scelte non è detto che non comportino cambiamenti.
Scene ad hoc: Claudio (Kim Rossi Stuart), durante le ore di ostaggio della ragazza, cattura una mosca sotto un bicchiere. La telecamera si sposta dentro il bicchiere ed il punto di vista diviene gli occhi della mosca. Inquadratura angosciante, lui si immedesima nella mosca e pochi minuti dopo la lascia libera.
Esther, la ragazza con handicap in ostaggio, gli chiede se Claudio tenga così tanto alla propria vita (dopo che lui stesso l’aveva fermata dal tagliarsi le vene in bagno). Lui le risponde in romanaccio: “eh certo che ce tengo, c’ho solo questa c’ho!”.
Il film mi ha fatto tornare in mente la Fede ed i nostri profondi ma brevi scambi di vita durante la pausa caffè in ufficio: “quando ero piccola il vento mi piaceva perché mi dava la sensazione di volare. Mi mettevo con le braccia aperte, in mezzo ai campi. Una volta avevo un palloncino in mano…che poi è volato. Mi ricordo ancora l’angoscia nel vedere questo palloncino salire in cielo…lentamente”.Penso che ognuno abbia il proprio palloncino. Non è detto che lasciarlo volare sia “un disastro per noi”. E penso che questa famosa libertà non sia fare ciò che si vuole, ma fare le cose COME le si voglia fare.

Thursday, October 9, 2008

Gilda e Bastone



Una mia dote, non troppo nascosta, è quella di dare nomi e soprannomi istantanei agli oggetti animati viventi e non. Mi bastano pochi secondi, guardare l'esserino in volto ed il gioco è fatto: per lui avrò sfornato un azzeccatissimo nomignolo.
Sabato pomeriggio ho visitato la Mostra dei Cuccioli a Parma. Tanti cagnolini e gattini di varie razze dentro gabbie un pò inquietanti.
Ho incontrato due amici col pelo, pochi secondi ed ho dato loro un nome. Un cucciolo tutto stropicciato e stanco, detto Bastone. Una cucciola di Siberian Husky detta Gilda.
Fortunatamente i cuccioli non erano in vendita: sarei tornata a casa con 10 esemplari...


Saturday, October 4, 2008

Quando un uomo...


“Quando un uomo ti dice che ti ama, che sei bella, che sei geniale, devi crederci”. E se Sonia Rykiel, famosa stilista francese che quest’anno festeggia ben 40 anni di carriera, ammette di trarre la propria creatività ed energia dallo sguardo di un uomo innamorato (di lei), anch’io, famosa racconta-storie di paese che quest’anno festeggia l’anno bisestile, posso lasciarmi, finalmente, andare ed ammettere che anche solo la presenza di un uomo innamorato (di te) è fonte di grande positività.
Queste mie frasi, questi miei pensieri sono il frutto di numerosi scambi di opinioni con un uomo che ha mostrato e descritto (a me) la propria indole di dominatore e non la nasconde, ma che accetta di essere stato dominato (fregato) a suo tempo e se ne sta godendo “i frutti”.
Tutto ciò di cui si discute spesso e che, quindi, diviene quasi “luogo comune” è fondato su frasi di circostanza da talk show pomeridiano o, ancor peggio, da frasi “trite e ri-trite” sentite in discussioni altrui.
“Gli uomini sono tutti uguali” è una frase trita e ri-trita. “Alle donne piacciono i bastardi” è un classico.
La frase più gettonata nei “dialoghi frustrati da non comprensione uomo\donna” con cui sono d’accordo è quella che sottolinea la grande differenza tra i due mondi, maschile e femminile.
Sostengo che l’uomo “sia diverso, molto diverso”. Sostengo che l’uomo “non lo faccia apposta”… ma “non sempre ci arrivi (a cosa la sensibilità di noi donne sa bene…)”.
Ma ho anche potuto toccare con mano, per fortuna, una sensibilità maschile che non ha niente da invidiare a quella femminile, anzi, spesso è più sottile e pungente di quella appartenuta a molte donne.
Ho potuto confrontarmi con uomini molto “capaci di cuore”: mio padre è stato il primo. Molto tempo dopo si possono interpretare tanti segnali, tante parole e tanti gesti fatti tempo prima. Mi ricordo ancora quando da piccola faceva di tutto per non vedermi piangere, cercando di illudermi che piangere non servisse a niente e ridicolizzando qualsiasi motivo per cui stessi male. Mio padre mi ha sempre osservato in silenzio facendo crescere dentro di se un’idea di me oltre ogni difficoltà e possibilità. Questa sua idea così brillante di me ha infuso in me una forza ed incoscienza tale per cui, fin da piccola, non ho mai avuto paura di niente e creduto sempre di poter riuscire, bastava volerlo. Non c’è cosa più “prolifica” per se stessi della stima di un genitore che cresce man mano che crescono i tuoi anni. Dai miei 15 anni “il genio” visto nella mia quotidianità gli diede la libertà di cominciare a giudicare tutti “i miei uomini”: “non ha palle a sufficienza” era il messaggio in codice, cioè non era, secondo lui, alla mia altezza. Non ci sono molte dita di una mano che si possono contare per passare in rassegna le mie storie d’amore, ma c’è stato solo un uomo su cui mio padre non abbia detto nulla, anzi, su cui abbia fatto domande e non si sia dato risposte e generato sentenze.
Sono sempre stata una donna “viscida”, non perché falsa, incoerente e “volta faccia”, ma perché difficilmente si lasciava prendere e, soprattutto, comprendere. Nulla fatto di proposito: semplicemente i miei uomini “mi dovevano stare su da dosso” e per raggiungere questo obiettivo, inconsciamente, era importante non farsi conoscere appieno.
Mi sono sempre divertita con loro, ho sempre scelto uomini divertenti, con un qualcosa di folle in loro che si potesse adattare bene alla mia follia e particolarità. Ho sempre scelto uomini brillanti, che mi potessero spiazzare e sapessero lusingarmi quanto basta. Ho scartato uomini perché mi lusingavano troppo. Ho scartato uomini perché non riuscivano a farmi divertire stando in silenzio, non parlando e, ancor peggio, annoiandomi quando parlavano.
Ogni donna ha un uomo ideale nella propria testa (nel cuore non è possibile perché a quello non si comanda) ed ogni donna si chiede perché le piace proprio quel tipo di uomo. Ogni donna però non si chiede perché “cade sempre” nell’uomo esattamente opposto a quello che le piace idealmente e perché sia recidiva nel continuare a credere che quello ideale sia l’uomo giusto per lei.
Le mie origini sicule hanno fatto di me una donna “caliente”: l’uomo “ha da essè moro ed occhio scuro”. Mi giro e vedo un biondo con occhi chiari, pur sempre “caliente”.
Adoro gli uomini brillanti, soprattutto economicamente. Un mio ex arrivò a regalarmi una piantina grassa da 1€ per San Valentino dentro ad un pezzetto di carta stagnola. È finita pochi mesi dopo.
L’uomo deve essere protettivo e dolce. Un uomo azzardò “scusa, ma hai le tue cose ogni mese, perché devi lamentarti in continuazione e soprattutto con me dei tuoi dolori?”. È finita pochi mesi dopo.
Sere fa ho rivisto “Desiderio” di Roberto Rossellini, film in bianco e nero del 1945 (uno dei pochi film girati in pieno conflitto mondiale in cui si può vedere i disastri della guerra). In realtà credo che non sia la semplice storia di una donna, Paola, straziata dal dolore di una vita insulsa da cui non riesce a liberarsi, ma lo scorcio del pensiero maschile sulla donna e viceversa.
Paola è una donna bellissima, prostituta d’alto borgo in una Roma anni ’40. Potrebbe avere qualsiasi tipo di uomo (“Paola, se venisse a vivere con me non farei altro che ricoprirla d’oro”), ma si innamora di un floricoltore, Giovanni.
L’indole da “crocerossina” di cui gli uomini parlano non è così fallace, anche se io la definirei indole “da madre, da salvatrice” che ogni donna ha nei confronti dell’uomo che prende “di mira”. E qui ci spiegheremmo perché “le donne preferiscono i bastardi”, perché i bastardi hanno bisogno di essere riportati sulla retta via e perché proprio loro sono coloro che richiedono più sforzo di comprensione e nervi: una donna che riesce a raddrizzare il vero “stronzo” riceve il premio “samaritana dell’anno” ed è un premio ambitissimo nel mondo femminile, soprattutto per essere mostrato alle amiche.
Paola confida alla sorella: “A volte gli uomini mi guardano come se mi vedessero nuda dinnanzi a loro, ma Giovanni no”. Paola sceglie Giovanni, il floricoltore, perché non la guarda con gli occhi del sesso ma con gli occhi dell’amore. Noi tutte, care donne, scegliamo un uomo accanto perché ci guardi (e ci ha guardato a suo tempo) con occhi che vadano al di là della libido sessuale. E ci lamenteremo quando questi uomini non ci guarderanno più con occhi carichi di libido sessuale. Ecco, in questo siamo proprio incoerenti e devo ammirare, invece, la coerenza e semplicità maschile. Quando l’uomo ha classificato una donna “come la sua donna” quest’ultima dovrebbe perdere (preferibilmente mai avere avuto) capacità ammaliatrici nei confronti di altri uomini. Passionalità e capacità persuasive (sessuali e non) dovranno essere raccolte verso il proprio uomo. Se ciò accade, l’uomo stima ed ama la propria donna. Gli uomini funzionano a meccanismi molto semplici. Però poi, noi donne cerchiamo lo sguardo altrui per avere conferma della nostra bellezza e fascino e loro ricadono fra braccia (e cosce) altrui. Non è poi così semplice come credevo!!! Nel film, Nando, il marito della sorella di Paola, salta addosso a quest’ultima intravedendola nuda dalla porta del bagno. Pochi giorni prima la sorella di Paola aveva confidato a quest’ultima “se vuoi diventare la moglie di un uomo dovrai meritarlo veramente”. In poche parole, bisogna essere convinte nell’accettare di essere cornute, poiché suo marito pochi giorni dopo ci prova con la sorella. A cosa è servito essersi meritato di sposare quell’uomo? Mah.
Di tutto questo continuo a parlarne ed a confrontarmi con uomini e donne. Ogni squadrone ha il suo leitmotiv. Lo schieramento genetico non serve.
Siamo diversi, uomo\donna, quanto siamo diverse fra donne, ma alleate, quasi, contro gli uomini e questo ci fa sentire più simili.
Ho deciso: non mi alleo con nessun squadrone. Faccio il tifo per me e per gli uomini che sanno darmi “questa famosa energia” (leggere “energia” come: mio padre che mi fa il caffè al mattino presto….; il proprio uomo che ti dice “sei bellissima” o semplicemente “brava”; etc…).