Wednesday, July 30, 2008

My sea "peppe"... Going on holiday

Mi voglio sempre "più bene".
Stamattina, nonostante le sole 5 ore e poco meno di sonno, mi sono alzata carica come una molla. E' il mio giorno preferito, il mio compleanno.
Non ho fatto colazione... Sono partita da casa in anticipo ed ho iniziato i festeggiamenti sola al bar con latte macchiato ed erbazzone appena sfornato. Ho "leggiucchiato" il giornale seduta al tavolino della piazza del mio paese per interpretare appieno "l'anziano" che è sempre più in me (oggi ho un anno in più, lo ricordo bene).
Sono andata in pasticceria a prendere un vassoio enorme di pasticcini per i miei colleghi; ho parlato col pasticcere di quanto siano curiosi ed interessati i cuochi e pasticceri giapponesi alla nostra cucina e pasticceria italiana. Beh, il discorso è nato perché si parlava della mia prossima destinazione e questa sarà il Giappone fra una settimana.
Sul Giappone avrò di che raccontare al mio ritorno!!!
Ma ho di che raccontare anche oggi, credo il miglior compleanno vissuto fin'ora.
Il vassoio di paste è stato divorato in un baleno una volta in ufficio, insieme ad un'ottima bottiglia di champagne messo in fresco dal mio capo "brillantone". Era buona ma alle 9.00 di mattina non molto salutare. Però questo ha facilitato le telefonate in Bulgaria e Grecia fatte pochi minuti più tardi in cui il mio inglese fluttuava sulla mia lingua già felpata dal "vino". E devo ammettere che sono stata più simpatica del solito al telefono.
Ho ricevuto un regalo bellissimo: la Filo è entrata nel mio ufficio con un enorme pacco verde: un quadro stupendo dipinto da lei. "Raffigura un uomo ed una donna davanti a due mondi, diversi, ma paralleli, l'avevi capito no?". Si Filo, l'avevo capito. La parte più bella come sempre è stata il biglietto, dal contenuto spiazzante (e le lacrime in ufficio significano quasi sempre "cazziatone" pesante, stress irrefrenabile, guaio fatto o subito serio a cui non sempre si può reagire a tono... ma questa volta piangevo di felicità).
Ho pranzato velocemente con un gelato allo yogurt ai frutti di bosco (in realtà volevo uno yogurt artigianale ai frutti di bosco...). Ho ricevuto un altro biglietto d'auguri molto speciale pieno di fiori colorati ed un nuovo capo del mio guardaroba: "100% pure stimmy", t-shirt degna di presidente del "club della moda" quale sono.
Non sono però stata sincera. In realtà i festeggiamenti sono iniziati ieri sera a cena, al ristorante giapponese, con i miei più cari colleghi. Le serate senza pensieri sono una manna dal cielo e quelle in cui si ride veramente di gusto.
Ho ricevuto tanti messaggi di auguri, divertentissimi e dolcissimi.
Perfino mio padre si è lanciato in un vero e proprio regalo: una penna stilografica d'oro con "cui firmare cose importanti, perchè fin'ora hai fatto la mezza sega, Ninì". Beh, forse Papà mi capiterà l'opportunità, o forse la farò capitare... "che è meeeeglio" (Quattrocchi del mondo dei Puffi insegna).
La mia amica Fede che mi ha chiamato stanotte per farmi gli auguri alle 00.01, il mio primo "morosino" (14 anni) che mi manda un sms con scritto "il 30 luglio di ogni anno ti penso sempre", l'Ottica Freddi che mi augura tanti auguri con un messaggio automatico, i miei parrucchieri che mi mandano un messaggio di auguri con uno sconto del 10% per festeggiarmi se vado oggi a fare una messa-in-piega.
Oggi mi sembra tutto più bello.
Forse perchè da domani sono in ferie? Le scarpine qui a lato sono ciò che indosserò nei prossimi giorni al mare. Voglio davanti ai miei occhi solo sabbia, scarpine "peppe" nuove con cui immergermi in mare, "BB" e cipolla di Tropea!

Grazie a tutti di cuore.

Monday, July 28, 2008

Mentre… anzi no, DURANTE

Una mia professoressa universitaria mi diceva ogni volta che le portavo un saggio scritto da me o semplicemente qualche ricerca: “ora bisogna scegliere il titolo, che è la cosa più importante. Perché è il titolo che farà venire voglia a chiunque vedrà lo scritto di dedicarci del tempo leggendolo”.

Ho scelto sempre titoli strani per le mie follie scritte (si nota semplicemente anche dai titoli dei posts).

Ma Andrea, questa volta mi ha stupito. Andrea De Carlo è stato il mio primo amore letterario. “Due di due” è stato il suo primo libro letto (titolo magnifico), regalatomi da una compagna universitaria anni ed anni fa. La dedica fattami da Simona sulla seconda pagina del libro è lunga e la dice “lunga”: “non abbiamo avuto il modo ed il tempo, soprattutto, per approfondire la nostra amicizia, capire chi siamo. Peccato esserci incontrate troppo tardi… ma da quel po’ che ho potuto notare tra i banchi dell’università mi basta per reputarti una persona davvero bella, con un grande animo”. La Simo conclude con: “spero possa ricordarti di me. In bocca al lupo per tutto. Grazie di tutto.”

Pochi giorni dopo Simona partì per Londra (sogni di financial broker da realizzare), io decisi di continuare a studiare e “prendere” la seconda laurea e non ebbi il tempo di iniziare il libro.

Andai in vacanza a Maiorca. Era sempre nuvoloso ed il villaggio era pieno di russi in età pensionabile. Presi in mano il libro una mattina per la disperazione, annoiarmi non è da me. 385 pagine lette in 2 giorni. Fu il primo libro che mi fece piangere, lacrime vere che però non mi ostacolavano nel procedere a leggere.

Prima di innamorarmi di Andrea solo per una “prova” riuscita perfetta, decisi di leggere “I veri nomi” (faccio così anche con gli uomini, li metto alla prova). Libro bellino, non eccezionale. Mi dissi: “eh, come tutti gli uomini e gli esseri viventi, i difetti prima o poi emergono”. Erano emersi, perché il secondo libro non mi aveva lasciato dentro un gran chè. Andrea non riuscì a farmi perdere la testa per lui ed io mi buttai tra le braccia di Dostoevskij, ben più muscoloso e dotato (cerebralmente, si intende).

Poche settimane fa decido di ricascarci. Vado su Internetbookshop, guardo un po’ le ultime novità e compro “Durante”, ultimo libro di Andrea De Carlo.

Lo infilo nel trolley in partenza per Barcellona: una volta a letto in hotel la sera lo fissavo intensamente, ma non riuscivo a lasciarmi andare con Andrea.

Lo infilo nel trolley in partenza per Porto Cervo: una volta a letto in hotel la notte lo fissavo intensamente, ma non riuscivo, ancora, a lasciarmi andare con Andrea.

Il libro si è fatto un po’ di chilometri per essere, poi, di nuovo ri-appoggiato sul mio comodino una volta a casa. E da lì, una sera, è stato preso.

Durante non è un titolo bellissimo, ma è molto azzeccato. Durante è il protagonista, colui che stravolgerà le vite e le sicurezze di tutti i personaggi incontrati nel suo viaggio. Durante è un uomo che non vuole scegliere del tutto, che non vuole scegliersi una vita, perché rimpiangerebbe tutte le altre che avrebbe potuto viversi ed anche perdersi.

Mi sono persa in questo ultimo libro come nel primo. Le “terze” possibilità vanno date, non solo le “seconde”. La terza potrebbe essere un’altra prova riuscita perfetta!

Il libro va letto da chi crede che i propri punti di vista siano gli unici esistenti sulla faccia della Terra. Utilizzarne tanti è molto divertente!

Ora Simo, mi ricorderò certamente di te. Non perché mi hai regalato un libro, ma perché mi hai fatto conoscere una cosa che ne valesse la pena conoscere. E ti penso ogni volta che leggo “Andrea De Carlo”.

Oh, c’è anche una “dark” queen!

Le 2 (o, forse, 3) birre a stomaco vuoto? L’essere rilassata, senza pensieri bui, finalmente? L’essere appena entrata in uno dei migliori negozi (ed averne saggiato acquistando) di Reggio Emilia?

Non so Filo cosa possa averti indotto a non azzeccare nemmeno una canzone “storica” anni ’80-’90 durante il concertino casuale a cui abbiamo preso parte per un po’ (“questa è Fiorella Mannoia!!!” “E’ Marcella Bella….”; “Ah, questo è Ivano Fossati” “Filoooo, sono i Queen”), ma non è importante, il cosa. È importante che io fossi contenta di essere lì, che tu fossi contenta di essere lì, che tutti intorno al tavolino fossimo contenti di essere lì, anche se “alcoolicamente” euforici e “fatti” di caramelle spagnole alla violetta selvatica.

Eravamo semplicemente uscite per comprare un regalo, un BEL regalo, alla Megghy. INTERNO B 197 faceva al caso nostro secondo te. Ha fatto al caso nostro: regalo mai più azzeccato, un gioiello Ugo Cacciatori ad una designer di professione e di indole che è “addobbata” Ugo Cacciatori dalla testa ai piedi: il pezzo scelto le mancava… Mi sto già gustando la faccia che farà la Megghy nel ricevere un regalo che non si aspetta ma che avrebbe voluto ricevere da sempre. Il bello dei regali è questo, soprattutto questo: osservare le reazioni di chi li riceve (è d’obbligo fare regali azzeccati altrimenti è d’obbligo non farli: non sarebbero regali ma scambi di oggetti omaggiati).

La scelta del regalo alla collega è durato pochi secondi (avevamo le idee chiare, giustifichiamo così il nostro irrefrenabile egoismo). La scelte dei regali alle nostre persone è durato un bel po’.

Questo concept store è apparso come un’oasi nel deserto del centro storico di Reggio Emilia. Deserto non perché privo di gente e di vita: deserto di cose interessanti, di negozi interessanti, di gente interessante, di circostanze interessanti. All’interno di questo negozio c’è “un mondo”, omogeneo nel suo essere formato da oggetti di vario uso e fine ma con un unico filo conduttore: la particolarità e l’unicità. Acquisti all’INTERNO B 197 e sai di aver acquistato “arte”, “il bello”, “il design”.

Io mi meritavo un regalo per il mio compleanno (30 luglio) e per l’anno trascorso a denti stretti. La Filo si meritava un regalo, per il compleanno passato da mesi (9 maggio) e per l’anno trascorso a denti stretti. Cioè, avevamo bisogno di spendere in qualcosa di nuovo e di veramente bello.

Ad oggi, io ho un bellissimo anello di Serge Thoraval, simile al suo, con inciso lo stesso messaggio. Ad oggi, la Filo ha un bellissimo girocollo di Serge, con inciso un meraviglioso messaggio.

Abbiamo “sfoggiato” nel giro di pochi secondi, non aspettando nemmeno di uscire dal negozio.

Giro in centro…un po’ di sete. A-P-E-R-I-T-I-V-O.

Ora la scelta: tavolini del bar “sfattone” o tavolini del bar “dove vanno i fighetti”?

Tavolino del bar dove vanno gli sfattoni. Ed in pochi minuti ci siamo ritrovate in compagnia di “amici” e “conoscenti” che apprezzavano i nostri acquisti e che commentavano con noi il centro di Reggio che risorge sempre, che trova sempre una soluzione nel non morire di noia mai.

La vie est un sommeil

L’amour en est la reve

Et vous aurez vecu si vous avez aime

Stesso messaggio su stesso dito. Ma Filo, quella che ballava in piazza davanti al palco non era una “dark” queen ma DRAG QUEEN… Te lo dice una dark (princess)!

Thursday, July 24, 2008

Untouchability - Adoro i libri che mi fanno pensare anche dopo l'ultima pagina (e soprattutto)

Ho sempre amato molto leggere. Beh, ho sempre amato anche molto il cinema: leggere e\o guardare un film (da sola o con la compagnia giusta) è il contenuto di una mia serata ideale in tranquillità.
Ho sempre letto molto, tranne dopo la laurea, all'inizio del primo vero periodo lavorativo in cui il mio corpo si stava abituando a tutto, tranne che a mantenere le vecchie buone abitudini.
Mesi fa "mi è girato il cazzo"(
tra virgolette è un modo di dire e non maleducazione): rendermi conto di non aver letto nemmeno un libro negli ultimi 4 mesi era il segnale. Qualcosa doveva cambiare.
Ho comprato un libro di
Sandro Veronesi sull'onda della pubblicità ad un film tratto da un altro suo libro. Volevo avvicinarmi allo scrittore ma non trasformandomi in pecora che segue la massa. Perciò, ho scelto il suo libro meno conosciuto: "Gli sfiorati".
Che scoperta! Sandro Veronesi è ciò che si dice: il nuovo Vasco Pratolini, una nuova figura della letteratura neo-realista, un bravissimo scrittore di noi e della nostra quotidianità più pura e semplice. Ed il libro che ho letto è la dimostrazione tangibile che esista ancora qualcuno in vita che sappia scrivere di ciò che la vita quotidianamente ci propina, emozionando. E non sono io purtroppo (almeno non ancora).
Gli sfiorati è un titolo bellissimo. Così sono i protagonisti: giovani e benestanti, possessori di tutto senza averlo veramente, sfiorandolo.
Come siamo noi oggi, giovani e in futuro meno giovani. Ansiosi di vivere sempre più esperienze, avere sempre più cose, senza impegnarci nel viverle appieno, almeno alcune. Illusi, giovani ed in futuro meno giovani, di averle avute queste cose, queste esperienze....rimpiangendole quando ci renderemo conto che avremmo potuto viverle in tutt'altro modo e molto più a fondo.

Wednesday, July 23, 2008

Return to special feelings - Concerto Metallica, Bologna, 22 luglio 2008 - I was there



James, ti ho sentito in forma, subito, a pelle.... Ascoltando per ore la tua voce, SENZA mai un'incertezza o una sfumatura sottotono... Emozione.
Kirk, in assoluto il migliore chitarrista di una band
metal. E hai messo su anche dei muscoli, eh?!?
Lars, con le tue gocce a
go-go di sudore già dopo i primi 5 minuti di concerto, le tue faccette buffe per smorzare la fatica fisica.
Robert, se fossi più "graziato e grazioso" nei gesti non saresti tu. Il mio "orango tango" preferito.
Ragazzi, mi avete sorpreso, ammaliato e sconvolto... quando mi avete omaggiato coi fuochi d'artificio... all'improvviso...
Come facevate a sapere che fra pochi giorni è il mio compleanno e che adoro i giochi di fuoco, detti "pirotecnichi"? Grazie, anche se non l'avete detto a tutti i vostri
fans per non deluderli, so che quelli erano per me.
Gentilissimi. Grazie ancora.



I'm a dark girl

Probabilmente del mio percorso adolescenziale (ma non solo) da ribelle-anachica-metallara ne ho già parlato. Non mi sono ancora espressa, però, riguardo alle magnifiche sensazioni che provavo immersa in quel mondo dark fatto di persone "vive e vitali" in quanto a mole di cose assunte (tramite bocca, naso e quant'altro). Non che la vita fosse dettata dalla sostanza, ma una ragione di vita erano le sostanze. Beh sì, si può essere metal dark dentro senza essere "uno strafatto", ma SIAMO in minoranza.
Il genere dark esprime non-curanza-della-normalità-sociale e odio-per-la-vita-normalmente-"imposta". Ci si veste scuri e si tende a mantenere pelle molto chiara per sembrare "dei morti", per inneggiare la morte nel suo concetto, come anti-tesi della vita non accettata, quella che si ritiene conformista e "dei più".
La musica molto dura, cruda, rabbiosa, quella
metal, pungente, è un veicolo per esprimere la rabbia e l'odio provato nei confronti di tutto ciò che è finto-falso-doveroso.
Ed io mi sentivo bene quando mi sparavo decibel su decibel nelle orecchie, vestivo aria incazzosa, teschietti e ribrezzo. Mi sentivo speciale, perchè inneggiatrice dei VERI valori per cui valesse la pena vivere, anche se vestita di nero e pallida: tutti quelli che non erano contemplati dalla maggioranza, quest'ultima troppo meschina per potersene rendere conto.
Ieri sera, fra i miei ex compagni di "sfogo", ho ri-provato la stessa sensazione dopo anni: Super Allefer libera e speciale.


Monday, July 21, 2008

L’essenziale è invisibile agli occhi

Il mio ultimo volo di ritorno a casa è stato diverso. Ho riempito i tempi vuoti che tanto odio fra check-in, imbarco e volo leggendo, anzì, mangiando “Il piccolo principe” di Antoine De Saint-Exupèry.

Ho viaggiato sola. Questo aiuta nel pensare e nel non dover reggere conversazioni con il collega di turno di cui non te ne frega nemmeno la metà.

Il libricino sembra un libro per bambini. Ma credo che per bimbi non lo sia affatto. Nonostante l’autore l’abbia scritto per i più piccoli e lo dedichi, ancora una volta, a piccole creature, penso sia troppo delicato e sottile per poter far arrivare i così tanti messaggi che in realtà dovrebbero essere colti.

Nel capitolo XXI il piccolo principe incontra la volte. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”. Il principe chiede alla volpe “Che bisogna fare?” “Bisogna essere molto pazienti. In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…”.

Non è ciò che ci accade quando incontriamo “una persona speciale”? Ci avviciniamo a lei piano piano, perché troppo attenti a non farla spaventare e scappare.

Il piccolo principe ritorna l’indomani.

La volpe lo bacchetta. “Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora. Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti.”

Non è ciò che instauriamo con le persone care per gioire sempre più all’avvicinarsi di un momento con loro?

Il piccolo principe, curioso, chiede alla volpe il suo segreto. Essa decide di svelarglielo. “Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.

Sì, è il segreto.

Ed il segreto è sempre chiedere all’assistente di volo un posto vicino al finestrino, in fondo, dove ci sono più posti liberi (i posti vengono assegnati cominciando dalla prima fila davanti, non saltando posti). Così si può piangere ed emozionare senza vergogna, non soltanto per aver letto un bellissimo libro. Ma perché stava arrivando il momento in cui ci si agita e ci si inquieta: il rito del cuore.

Ich habe den Mann gertappet – L’uomo nel sacco

Wer hätte das gesagt! Wer sonst? (wenn nicht er)

Warum sollte ich das tun?

Rette sich, wer kann!

Luoghi comuni che si alimentano uno con l’altro. Ruoli sociali pre-definiti dentro e fuori le non così solide mura di casa. I soliti sfoghi con esemplari dello stesso sesso, perché “capiscono il nostro punto di vista” avendo il nostro stesso organo genitale: abbiamo bisogno di avere ragione, se non anche ragione-con-un-po’-di-compassione (“che bastardo”, “che cafone”, “ti ha ferita dentro”).

La donna parla troppo (non mi inserisco nella categoria perché io parlo troppo poco) perché esprime ogni sua sensazione attraverso le parole: fa l’amore e poi vuole parlare (mentre l’uomo ha già comunicato facendolo), sta provando una sensazione-emozione meravigliosa e la vuole spiegare a parole (a volte bruciandosela), sta male e vuole rendere partecipi del proprio dolore chiunque respiri nel raggio di qualche chilometro. Tante donne insieme danno vita a fiumi di parole. I fiumi di parole costituiscono un’arma letale contro la razza opposta: il maschio.

Ecco perché difficilmente qualsiasi uomo vorrebbe trascorrere qualche ora solo con un gruppo di donne, a meno che non sia gay, a meno che non si stia pregustando la caccia ad una del gruppo (in questo caso la resistenza alla chiacchiera aumenta per fini di “scopo”, il lucro sessuale).

La mia deformazione “pseudo-professionale” mi porta ad ascoltare i discorsi degli altri mentre sono al ristorante, al bar, in qualsiasi luogo in cui sia immersa in gruppetti di altrui.

Ecco perché i miei più cari amici e affetti si lamentano in continuazione mentre sono al ristorante, al bar con me: presto loro solo un orecchio, perché l’altro è alla ricerca di parole e frangenti interessanti. Mi alimento dei punti di vista degli altri (ormai chi mi conosce sa che per coinvolgermi al 100% mi deve parlare dentro mura domestiche in cui non posso avere distrazioni).

Sono mesi che mangio fuori casa perché vivo, ormai, fra hotel ed aeroporti. Devo ammettere, però, che anche prima del mio essere così globetrotter adoravo mangiare in compagnia (e da sola) fuori casa. E dire che mi piace molto cucinare, e sono anche molto brava (a detta non solo mia).

I pasti fuori casa mi hanno permesso di approfondire la mia ricerca ed i “miei ascoltini”: quanto si lamentano le donne con le amiche della loro difficoltà a gestire un “maschio”? Cerco sempre tavoli di sole donne: i gruppi di 2 o 3 o 4 sono quelli più prolifici, perché meno dispersivi e più confidenziali. I gruppi di amiche da una vita sono i migliori: si raccontano i dettagli al millesimo di secondo.

L’introduzione semi-confusa e quasi incomprensibile (lo so, tedesco) è uno stralcio di una conversazione ascoltata in un Cafè in piazza Trocadero a Parigi fra un gruppo di amiche tedesche, in viaggio per piacere, “le turiste bionde” che riempiono le nostre città non solo d’estate. Erano in 3 e parlavano di uomini. In particolare del loro essere negati nel percepire perfino i segnali “di fuoco” (quelli più visibili e meno subliminali) che noi donne mandiamo: “fammi una sorpresa ogni tanto”- “mi piacerebbe che mi facessi fare qualcosa stasera, “non darmi per scontata”- “tu credi di conoscermi”, “dimmi che sono bellissima”-“ti piace il vestito, i capelli, le scarpe etc…”, “fammi un regalo”-“ooohhh, guarda com’è bello questo in vetrina!”, “facciamo un viaggio”-“sono stressata e nervosa, avrei bisogno di staccare”.

Venerdì sera, tornata in Italia, seduta ad un tavolo con amici al ristorante greco a Parma, un tris femminile variegato in tipologia ed in età mi ha deliziato sul solito argomento, gli uomini, ma su una loro interessante sfaccettatura: la loro necessità di vegetare il più possibile: “mi ha lasciato la tavola apparecchiata da pranzo, ma io quando torno stasera gliela lascio ancora lì, voglio vedere se domani mattina a colazione si degna di sparecchiare”; “Bruno….dovevamo partire per il mare, non si è fatto più vivo. Beh, sai cosa ti dico? Ci vado da sola!!!”.

Due ore di lamentele, nervi a fior di pelle nel descrivere scene vissute che sarebbe stato meglio non vivere e nel descrivere, perfino, scene che avrebbero voluto vivere ma che, causa uomini maldestri, non sono riuscite a realizzare.

Ma dopo due ore, checchè se ne dica, “andiamo, non voglio lasciare solo Bruno per tutta la sera. Mi starà aspettando”.

Certamente, davanti alla televisione con la bava del sonno colante dalla testa reclinata.

Friday, July 18, 2008

Super Allefer

Christopher McCandless, protagonista realmente esistito del bellissimo film Into the Wild di Sean Penn, si firma spesso "superTramp". La sua sana follia del volersi sentire libero per arrivare ad esserlo fino in fondo lo faceva sentire un "super-eroe".
Il sentirsi liberi perchè lo si è davvero è una sensazione bellissima, che apporta una buona dose di serenità. Inconscia e non solo.
La libertà non scanca.
Ci sono frangenti in cui mi sento libera e "sparsa" per il mondo.
Altri in cui mi sento "sparsa" per il mondo, ma vorrei invece essere "spappolata" nel mio solito punto.
In quasi tutti i frangenti mi sento "super Allefer".