Thursday, March 25, 2010

I miei ospiti

Questa è la storia di una piccola sognatrice del Nord, carica di voglia di fare e di fare bene, che durante il lento e veloce scorrere delle cose, chiamiamole destino, conosce una piccola soldatessa, nel lavoro e nella vita, del Sud.

Arrivata nel Meridione, la piccola sognatrice del Nord sa che ci sarà tutto da fare e nulla da perdere, ma non sa ancora che sarà grazie alla soldatessa del Sud che "tutto" sarà fatto e sarà fatto bene.

Questa è la mia storia di diligente pedina del grande sistema che è l'industria e di una pedina più lontana dalla mano del giocatore ma molto più decisiva nella fase di gioco e di vincita.

Alessandra e Valentina, i nomi sono tutto, chi siamo a livello professionale non conta ora. Contava quando ci siamo conosciute, una notte d'inverno, in un aeroporto (tanto per cambiare) in cui ero appena atterrata e dove lei mi stava aspettando da un ora, ritardo dello scalo a Fiumicino. Un lungo viaggio in macchina per raggiungere l'hotel, durante il quale lei ha guidato attenta sotto una pioggia torrenziale, attenta soprattutto a me, mai vista, "delegata" dell'azienda da accompagnare alla missione, vestita di tutto punto e sempre al telefono chissà con chi e per fare chissà cosa (di certo non salvare il mondo anche se il tono le sarà apparso simile).

Questa è la storia di un'amicizia e di una fiducia, prima sul lavoro poi nella vita (o forse viceversa), di due donne che non provano invidia, che sono felici per le gioie dell'altra e che stasera hanno cenato a lume di candela nei panni di gente nobile.

Un vecchio palazzo costruito dai Borboni, nel lontano '800, quando ancora erano "padroni" del Sud Italia, sulla costa tirrenica della Calabria: "vivo" qui quando lavoro qui. No turisti, Si party. Sola a colazione ed a cena in un salone da 200 coperti, con metre più confidente di vita che di buon vino. La solitudine col sorriso non è poi così amara. Si, perché in un palazzo di 100 stanze, l'unica non a disposizione è la mia.

Avere il personale dell'hotel che lavora solo per una cliente ti fa sentire un po' la padrona di casa, una giovane e sola baronessa di altri tempi.

Ma stasera, finalmente, 3 coperti: io, Valentina ed il suo futuro sposo (settembre è ormai prossimo).

Finta nobil donna, "Baronessa dei culi cacati" (così mi chiamava mio padre dai primi mesi di vita quando mi doveva cambiare il pannolino sporco), Contessa Valentina di Blanchard sas (società per cui lavora), Conte Luca No Figa (si narra che durante un incontro di sesso con partner straniera, allungando una mano di troppo, abbia sentito un "di troppo" esordendo verso di lui\lei, non sapendo l'inglese, "no figa? I'm sorry").

Una cena lunghissima ma che sembrava appena iniziata, un vino bianco fermo siciliano buonissimo, una sogliola al pistacchio verde sublime, 3 visi contenti della presenza degli altri allo stesso tavolo, un piccolo tavolo al centro di un luogo con più di 200 anni. Aver bevuto, mangiato e scherzato dove l'hanno fatto per secoli i nobili.

I nostri titoli nobiliari non sono finti, sono nomi divertenti, ma non riesco a non continuare a stupirmi dei nobili veri, quelli di cuore. Che ho la fortuna di incontrare.

Monday, March 22, 2010

Il volo della domenica

Chi vola ogni settimana come se stesse prendendo l'autobus o l'auto per andare al lavoro, sa che i propri compagni di viaggio del lunedì mattina e del venerdì sera sono molto simili a sè. Siamo la compagnia Piquadro. Potrebbe non servire il biglietto aereo: accesso in cabina se hai una workbag o un qualsiasi accessorio del marchio. Senza non saresti un professionista che sta andando faticosamente a guadagnarsi "il pane" in trasferta, perchè "noi valiamo" (probabilmente la maggior parte ha all'interno della Piquadro una confezione di shampoo L'Oreal per auto-motivarsi). Non si parla, si legge Il Sole 24 Ore per tutto il tempo, si lavora sul portatile durante le ore di crociera, si legge La Repubblica o Il Corriere della Sera se si vuole staccare la spina, si legge l'Harvard Business Review persino in piedi durante l'attesa dell'imbarco. Silenzio, fino all'atterraggio e quando le gomme toccano il suolo dell'aeroporto, si piegano all'unisono giornali e quant'altro, ci si mette il soprabito di taglio sartoriale, si estrae il trolley Samsonite nero o grigio dalla cappelliera e si è pronti per andare all'attacco se è un lunedì mattina oppure in congedo per malattia, emicrania da calo di stress, se è venerdì sera.

Ieri, domenica, sono partita per anticipare lo sciopero dei voli del lunedì. I compagni di volo della domenica sono un'altra cosa. Sono coppie di anziani, di giovani, sono mamme con bambini, sono gruppi di amici. Sono persone che comunicano, che cominciano a lamentarsi dei minuti di ritardo del decollo "perchè Alitalia ha sempre fatto così" (mi chiedo cosa ne sappiate voi che prendete un volo all'anno se fa sempre così...), sono le timorose che all'inizio di una turbolenza tirano su il morale del genitore anziano affianco "papà, tieniti stretto, stiamo entrando in una bufera, non guardare fuori" (meno male che non era un tornado), sono bambini indecisi se divertirsi della novità di volare o piangere traumatizzati per tutto il volo. Sono le persone meno meccanizzate ed assuefatte dalle regole quelle del volo di domenica, quelle che ti fanno sorridere ascoltando i loro discorsi, si, perchè durante il volo loro parlano.
Nonostante tu, io, stia leggendo Il Corriere della Sera anche di domenica pomeriggio ed abbia una borsa Piquadro sotto al seggiolino.

Saturday, March 20, 2010

Sono una mina vagante

Voglio parlare di quella frenesia sottile che mi assale ogni qual volta "prendo e vado" sull'onda del "mi va". Di norma mi accade sola, perché solamente con me ho la libertà (questa tanto amata libertà) di non dover condividere parole, pensieri, anche pur banali decisioni sul dove parcheggiare.

Ed oggi, uno dei tanti sabati pomeriggio, dopo una settimana "tesa" e prima di una settimana "peggiore", prendo e vado al cinema, sola, alla visione delle 15.00, quella dei nessuno, quella delle coppie di amiche, quella dei solitari o amanti della solitudine come me. E' anche la proiezione in assoluto "per i pochi", la sala a tua disposizione. Posso sedermi come a casa, rannicchiata con i piedi sopra alla poltrona. Così adoro assaporare una storia.

La storia di questo pomeriggio è la storia dei personaggi finti erranti, che hanno paura di sbagliare e per questo seguono percorsi più giusti perché quasi imposti, che si possono percorrere facendo finta di non essere responsabili del percorso, "l'hanno scelto gli altri".

E' la storia anche delle mine vaganti, di quelli che scelgono di mettere le cose e le persone dove devono stare, di quelle che voglio sbagliare "per proprio conto".

Sbagliare per proprio conto. E' bellissimo.

E' questa la libertà di ognuno di noi.


All'uomo che dice di amarmi e di conoscermi, che dice "tu lotti sempre per ottenere le cose che vuoi nelle tua vita, credevi di essere libera ma ora soffri perché ti rendi conto che non lo sei" dico: libertà è tante cose.

E' poter decidere, poter sbagliare seguendo i propri pensieri ed il proprio cuore, è voler mettersi al proprio posto, dove si deve e si vuole stare.

Ed è anche prendere le chiavi della macchina dopo un lampo "vorrei andare a vedere quel film", guidare ascoltando Madonna ad un volume non consono fino in centro, incontrare un tuo amico-collega che ti abbraccia e ti dice allibito "vai al cinema a quest'ora da sola? Sei un mito…!!!" ed è sedersi al centro dell'ultima fila, in una sala enorme, vuota, rannicchiata come a casa propria.

E' commuoversi, perché così ho sempre fatto durante un film di Ozpetek.

E' uscire dal cinema in pieno pomeriggio e rifugiarsi in libreria per cercare un'altra delle tue cose "strane", il libro "tutti i figli di Dio danzano" del proprio scrittore preferito.


Ti rispondo, non mi sono ancora resa conto di non esserlo. Anzi, continuerò a fare di tutto per illudermi di essere libera. Sempre.

Infondo anch'io sono una figlia di Dio. E voglio continuare a danzare.

Sunday, March 7, 2010

Una serata come da tanto non...

I residui di un solo calice di brunello di Montalcino, anche se della cantina Banfi ed anche se 12,00€ al calice "fa già male", sono, stamane, il ricordo di una mangiata d'altri tempi.

Antica Trattoria "Al Vedel", Colorno, Parma.

Quel posto di cui tra la provincia di Reggio Emilia e Parma si parla tanto, per il culatello proposto in 3 stagionature diverse e per il dover prenotare "mesi" prima per riservare un tavolo.

Bello sapere che alcune cose resistono e fanno della propria storia il punto di forza. Al Vedel esiste dal 1780, prima come spaccio di generi alimentari e posto di ristoro, poi come antica trattoria con laboratorio di salumi, tutto questo coccolato dalla stessa famiglia e dalle sue diverse generazioni. Il nome deriva dal territorio, questa piccola porzione della provincia di Parma, Le Vedole, antica terra di salumi: solo qui si produce il culatello DOP.

Una buona dose di vino rosso in circolo per assicurarmi una buona cena: "i tortel dòls" di Colorno, i preferiti da Maria Luigia, moglie di Napoleone, che si faceva preparare ogni domenica durante le sue permanenze estive alla reggia di Colorno ed un dolce paradisiaco, gelato agli amaretti con zabaione cotto.

Sorvolo sul cinghiale al Barolo per secondo perché, purtroppo, ancora stamane sta tentando in tutti i modi di mettersi in contatto con me riproponendosi in continuazione. Non so cosa mi voglia dire.

Saturday, March 6, 2010

Ich bin Kyoto


Kyoto è un'altro Giappone. E' quel Giappone ancora così fedele alle tradizioni ed al suo passato. Una delle città più ricche di templi scintoisti (viene chiamata la città "dei mille templi") e nonostante li abbia visitati tutti… il mio ricordo di Kyoto è un tavolino di Starbucks.

Sanjo Ohashi, lo Starbucks più mio in tutto il mondo. Cappuccino bollente ed una fetta di coffe cake al mattino. Un cappuccino freddo al pomeriggio.

Questo tavolino ed il rumore del fiume Kano alle mie spalle. Il contesto adatto ad essere in ottima compagnia coi miei pensieri più sereni ed un sorriso per definire il momento. Perfetto.

A mezzanotte di quel giorno di festa nazionale in Giappone, poco prima che accendessero i cinque grandi fuochi sulle colline intorno a Kyoto per celebrare la festa di Daimonji-matsuri (in Giappone festeggiano il ritorno delle anime dei defunti che tornano, per una notte, fra i propri cari vivi), io ero a faccia al cielo, elettrizzata dalle aspettative di uno spettacolo rivelatosi molto più emozionante del previsto. Ed ero, ancora una volta, inconsciamente, sul terrazzo dello Starbucks, sul fiume, senza però un cappuccino in mano.