Monday, January 19, 2009

La barriera del suono

Il titolo di questo post è frutto di un colpo di genio avuto durante la guida al ritorno dalla pausa pranzo. Mentre con mani salde sul volante tentavo di abbattere la barriera del suono a bordo della mia utilitaria da “donna gioiello”.

Mentre guidavo con piede pesante sull’accelleratore per arrivare ad una fascia oraria idonea per trovare parcheggio davanti all’azienda: 13.45 – 14.48, tre minuti fondamentali.
Ho incontrato in pausa pranzo una cara amica dalla parte opposta della città, “corse” di donne che lavorano che non vogliono perdere il piacere di abbracciarsi e scambiare due chiacchiere.

Ingollare cibo spettegolando a bocca piena è proprio brutto da vedere, ma tanto bello da fare. È l’unica occasione in cui ci si può lasciare andare e fare a meno di essere composte: dover mangiare e parlare di cose che si vogliono assolutamente far sapere all’interlocutore.
E con le mani strette al volante pensavo a quante cose noi donne facciamo anche solo nell’arco di una nostra giornata. Ed a quanto si facciano velocemente, abbattendo la barriera del suono, pur di poterle fare.

Il mio attuale risveglio alle 6.45 è l’inizio di un “percorso salute” di media-alta difficoltà. Il mio look del giorno è scelto la sera prima, se non fisicamente sulla poltrona almeno nella mia mente: capi, scarpe ed accessori da abbinare
Al momento del risveglio, il tempo impiegato a mettere le pantofole ed arrivare in bagno coi vestiti in mano deve essere inferiore al minuto. Accendere la stufetta, fare la pipì e detergersi il viso precedono il buongiorno effettivo.

Apro la porta del salotto e… “buongiorno figli miei”, saluto Shary e Lupobilly ancora assonnati con un “batti 5”: sdraiati sulla schiena mi allungano la zampa allargandola per darmi il cinque di primo mattino. I cani mi inseguono in cucina e si riappisolano mentre accendo la tv su rete 4. Da inizio anno c’è un telefilm anni ’70 che narra le vicende di un medico-patologo legale e sua moglie psicologa. Mi “intrippa”, mi fa provare interesse e stimolo mentale fin dal primo mattino.

Preparo le crepes alla cannella e marmellata ai frutti di bosco, il latte macchiato tiepido.
Mentre le crepes cuociono, torno in bagno a vestirmi di tutto punto.
Mangio guardando il telefilm.
Torno in bagno per lavare i denti ed il fondamentale make-up. Purtroppo o per fortuna, lavorare nel settore moda non permette di essere sul posto di lavoro “sciatta”. Mi sento spesso “tacchettina”, vi ricordate le subordinate di Miranda Preston ne Il Diavolo Veste Prada? Solo che il mio veste Max Mara.

Pronta per sgommare, abbattere la barriera del suono in autostrada, arrivare in sede sperando di arrivare nei 3 minuti chiave per trovare parcheggio vicino all’entrata: 8.28 – 8.31.
Percorrere velocemente il corridoio che porta al tuo ufficio, sperare che la tua capa non sia arrivata prima di te per non rischiare occhiate o frecciate che lasciano poco all’immaginazione.

Si lavora e lo si fa in un open space di 20 persone: “di cazzate nell’arco della giornata ne sentirai parecchie” mi aveva detto una mia collega appena arrivata qui. Si fanno pause caffè quando possibile, quando non si è in riunione o sotto torchio. La pausa caffè ha un meccanismo strano. Esistono le “amiche da pausa caffè”, i gruppetti fedeli, coi loro orari e le loro abitudini. Io faccio parte di un gruppetto “stimmy” (non poteva essere diversamente, ogni gruppetto deve avere argomenti in comune su cui parlare), formato da giovani donne (26, 27, 29, 30, 32, ) che hanno deciso, volontariamente o seguendo simpatie dettate dal subconscio, di condividere pensieri durante 10 minuti a metà mattina e durante 10 minuti a metà pomeriggio.

Stamattina abbiamo affrontato il tema: “ma i capi che trovate ammassati in fondo al guardaroba, dismessi e fuori moda, vanno buttati o rivenduti?”, la Romy ha sentenziato “no ragazze, si fa del bene alle persone, bisogna fare un sacco e regalarli, soprattutto se sono di marca, fanno felici altre ragazze…”. Oggi pomeriggio abbiamo affrontato il tema: “non riesco ad uscire di casa ed a non comprarmi niente, ma ora mi devo dare una regolata, sono piena di vestiti che non metto”.
Probabilmente la chiacchierata di stamattina aveva permesso di conteggiare mentalmente i capi dismessi in fondo all’armadio ed il perché di tanto spreco. Ogni tanto i discorsi vani e superficiali aiutano, in tante valutazione pian piano più intelligenti.
Le pause pranzo sola o in compagnia non forzata (i colleghi non si scelgono e ogni tanto è bene farsi vedere in mensa e sfruttare le convenzioni aziendali) sono la boccata d’ossigeno di metà giornata.

“E’ le sei” non sempre ci appartiene: l’unica certezza è sapere quando si arriva, non quando si esce.
I desideri a fine giornata, una volta “libera”, sono sempre tanti: mettermi in moto, fisicamente, correre, ballare; rilassarmi durante un aperitivo e cena con persone a me care; guardare dopo cena Un Posto al Sole su raitre piangendo o sghignazzando; leggere o scrivere… troppo poca la mia forza di volontà e troppa la pigrizia da stanchezza. Devo migliorare. Devo almeno potermi mettere lo smalto davanti alla tv prima di crollare.

Non posso avere solo due certezze in una giornata-tipo: arrivare al lavoro in orario ed addormentarmi immediatamente dopo aver toccato il letto.

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