C’è un motivo “tecnologico ed elettronico” per cui il Blackberry non dorme mai. Ci illudiamo di spegnerlo poco prima di addormentarci, durante i momenti in cui non possiamo (dovremmo) essere disturbati. Invece, lui è con noi, non dorme. Cerca, invano, di essere amico fedele, di non abbandonarci, ma quando meno te lo aspetti “sviene”.E sviene nel bel mezzo di una comunicazione, mentre parli con tono stanco e qualsiasi, dall’auricolare, tornando dal lavoro, guidando a discreta velocità in autostrada. E proprio quando pensi che sia caduta la linea e di non aver la forza (voglia) di richiamare, godendoti gli ultimi chilometri che ti separano da casa in completo silenzio, il tuo piccolo mondo di affetti comincia a muoversi, quasi “ribollendo”.
L’amico Blackberry è un duro. Non sviene come noi comuni mortali: ci afflosciamo a terra, come pere mature cadute da un albero, completamente senza cenni di vita per qualche secondo. Lui continua a muoversi: riceve ed invia messaggi, e-mail, ma non ha rete per fare e ricevere chiamate.
A linea apparentemente caduta, mi provano a richiamare. Rete non disponibile. L’essere umano è di indole pessimista ed un po’ “porta-sfiga”: “era in autostrada, stanca, non riesco più a prendere la linea, la comunicazione si è interrotta improvvisamente”, UGUALE, “ha fatto un incidente”.
Partono le catene di telefonate, ricerche ed interrogativi sulle mie precise ed eventuali posizioni satellitari.
Nel frattempo io continuo a godermi il silenzio nei miei ultimi chilometri di viaggio.
Arrivo a casa, pioviggina. Metto la macchina in garage, salgo lentamente le scale, apro la porta di casa, saluto i miei cani che mi aspettano con ansia perché affamati, mi tolgo abiti ormai troppo “impegnativi” da tenere ancora addosso, faccio una lunga minzione e mi dirigo in cucina.
Stasera un qualcosina di leggero, penso. Dispongo sul tavolo le vittime della mia subitanea carneficina, quando sento in lontananza un rimbombare di passi veloci e pesanti ed una voce tuonare: “Siamo tutti in pensiero!”.
“Meno male, pensare è una buona cosa, figuriamoci esserci dentro (IN) ed in compagnia (SIAMO)” dico io.
L’amico Blackberry è un duro. Non sviene come noi comuni mortali: ci afflosciamo a terra, come pere mature cadute da un albero, completamente senza cenni di vita per qualche secondo. Lui continua a muoversi: riceve ed invia messaggi, e-mail, ma non ha rete per fare e ricevere chiamate.
A linea apparentemente caduta, mi provano a richiamare. Rete non disponibile. L’essere umano è di indole pessimista ed un po’ “porta-sfiga”: “era in autostrada, stanca, non riesco più a prendere la linea, la comunicazione si è interrotta improvvisamente”, UGUALE, “ha fatto un incidente”.
Partono le catene di telefonate, ricerche ed interrogativi sulle mie precise ed eventuali posizioni satellitari.
Nel frattempo io continuo a godermi il silenzio nei miei ultimi chilometri di viaggio.
Arrivo a casa, pioviggina. Metto la macchina in garage, salgo lentamente le scale, apro la porta di casa, saluto i miei cani che mi aspettano con ansia perché affamati, mi tolgo abiti ormai troppo “impegnativi” da tenere ancora addosso, faccio una lunga minzione e mi dirigo in cucina.
Stasera un qualcosina di leggero, penso. Dispongo sul tavolo le vittime della mia subitanea carneficina, quando sento in lontananza un rimbombare di passi veloci e pesanti ed una voce tuonare: “Siamo tutti in pensiero!”.
“Meno male, pensare è una buona cosa, figuriamoci esserci dentro (IN) ed in compagnia (SIAMO)” dico io.
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