“Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” non è proprio un titolo azzeccato. Forse “Cristiane F. e lo strano trip della vita” poteva essere più interessante. Il libro è un intervista fatta a Christiane F., “la tossicodipendente più famosa in Germania negli anni ottanta” (dice la sua biografia, ma io estenderei la sua fama un po’ di più ed anche per generazioni successive); quindi, il lessico è quello che è (aveva 17 anni quando ha rilasciato l’intervista). Le parole più ricorrenti che perseguitano il lettore anche durante le settimane successive la lettura del libro sono: “stare a rota”, cioè essere in crisi d’astinenza da eroina; “ingollare”, mangiare; “occhi come due spilli” per dire che non si era fatti; “trip”, qualsiasi cosa avesse a che fare con lo sballo chimico da sostanza stupefacente; “sola”, perché i tossici sono soli, pensano solo a se stessi e si sentono soli; “marchette”, prostituirsi per procurarsi la droga; “reggere e non reggere”, subire e non subire qualcosa. Cristiane ha più volte ribadito il motivo per cui un giovane alla fine degli anni ’70 in Germania non potesse non drogarsi: “mi sentivo sempre distrutta e scoraggiata…[…] tutto ruotava intorno a dei miserabili ed a cose miserabili…[…] In un certo senso sarei stata volentieri giovane nel periodo nazista. Allora i giovani avevano un’idea di come stavano le cose e avevano ideali. Credo che per un giovane è meglio avere falsi ideali che non averne nessuno.” I consapevoli cadrebbero (cadono) nella rete “chimica” ancora oggi, non in Germania, credo ovunque. Ma i consapevoli, io fra questi, nella rete ci cascano spesso, non necessariamente in quella di chissà quali sostanze, ma in quella “del raccontarsela” per farla passare meglio. In fondo è pur sempre un “intontirsi” per non sentire e non pensare. Ecco, credo che imparare a non mentire più a se stessi sia difficile quanto disintossicarsi da una droga. Ed in effetti io spesso “sto a rota”.
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