Wednesday, February 11, 2009

Un gioco da ragazze

I cinema più tetri, piccoli e fuori mano sono quelli in cui mi gusto di più le visioni. Sarà che il pane quotidiano di questi cinema, ormai, sono i film da rassegna, quelli più intellettuali, difficili da comprendere ed a volte anche da sopportare. E questi tipi di film sono i miei preferiti.
Nessuno risponde SI con entusiasmo quando propongo un film in rassegna con l’aggravante del cinema “sfigato”. Tranne Monia.
Il “si” della Mo è perfino entusiasta.
Martedì sera scorso alle 20.50 lei è salita sulla mia macchina, alle 20.55 stavo parcheggiando la macchina nell’unico posto anti-stupro: davanti all’entrata del cinema. 20 metri illuminati da percorrere mi sembravano ragionevoli.
Un gioco da ragazze era il film in programmazione che a Monia è piaciuto tanto e a me ha scioccato.
Non è proprio il filmetto alla Muccino in cui vengono ritratte le giornate di giovani baciati dalla fortuna, famiglia ricca, belli, con nessuna mutilazione se non mentale. È un film dalla buona sceneggiatura, ottima fotografia e dalla trama quasi scontata ma dalla morale per nulla scontata.
La storia di una ragazza strafatta di ecstasy e di sindrome da onnipotenza e strafottenza. Circondata da amiche lobotomizzate che si lasciano manovrare a suo piacimento pur di avere la sua stima ed essere nel suo raggio di vita, la protagonista trascorre le giornate sfogliando riviste di moda, facendo shopping, chattando e guardando video su you-tube, non mangiando per rimanere la più magra, insultando e falciando ogni ostacolo sul suo percorso insano alla vuota gloria, che siano persone, che siano cose. La sera, ecstasy e sesso nei bagni dei locali.
Tutto questo per noia, per l’onnipotenza che si respira oggi fra le nuove generazioni e che li rende lo specchio di ciò che sono i nuovi diktat: emergere, per qualsiasi motivo, ma emergere. Apparire, in qualsiasi modo, ma apparire.
Il mio ottimismo ne ha risentito, la realtà che traspariva è il motivo del mio shock.

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