Wednesday, December 30, 2009

L'uomo Donna

Siamo così convinte di dover fare dell'Uomo come essere maschile un solo fascio?!? Vivere accanto ad un essere maschile dalla tua stessa sensibilità, se non superiore, a volte, ti rende più fiduciosa nel prossimo. Anche nel prossimo che hai proprio accanto.
Ed invece di ricevere sms di buongiorno sdolcinato come tutti i corteggiatori sono soliti fare, io ricevo sms di primo mattino come questo: leggi l'articolo su Repubblica (...), sono disgustato ed indignato!
E tu Donna che non puoi fare a meno di essere colta, informata e soprattutto sensibile quanto lui corri a leggere l'articolo per poterlo commentare con lui.
Ed invece rimani alquanto disgustata e senza parole.

CARO direttore, è domenica 27 dicembre. Eurostar Bari-Roma. Intorno a me famiglie soddisfatte e stanche dopo i festeggiamenti natalizi, studenti di ritorno alle proprie università, lavoratori un po' tristi di dover abbandonare le proprie città per riprendere il lavoro al nord. Insieme a loro un ragazzo senza braccia.

Sì, senza braccia, con due moncherini fatti di tre dita che spuntano dalle spalle. È salito sul treno con le sue forze. Posa la borsa a tracolla per terra con enorme sforzo del collo e la spinge con i piedi sotto al sedile. Crolla sulla poltrona. Dietro agli spessi occhiali da miope tutta la sua sofferenza fisica e psichica per un gesto così semplice per gli altri: salire sul treno. Profondi respiri per calmare i battiti del cuore. Avrà massimo trent'anni.

Si parte. Poco prima della stazione di (...) passa il controllore. Una ragazza di venticinque anni truccata con molta cura e una divisa inappuntabile. Raggiunto il ragazzo senza braccia gli chiede il biglietto. Questi, articolando le parole con grande difficoltà, riesce a mormorare una frase sconnessa: "No biglietto, no fatto in tempo, handicap, handicap". Con la bocca (il collo si piega innaturalmente, le vene si gonfiano, il volto gli diventa paonazzo) tira fuori dal taschino un mazzetto di soldi. Sono la cifra esatta per fare il biglietto. Il controllore li conta e con tono burocratico dice al ragazzo che non bastano perché fare il biglietto in treno costa, in questo caso, cinquanta euro di più. Il ragazzo farfugliando le dice di non avere altri soldi, di non poter pagare nessun sovrapprezzo, e con la voce incrinata dal pianto per l'umiliazione ripete "Handicap, handicap".

I passeggeri del vagone, me compreso, seguono la scena trattenendo il respiro, molti con lo sguardo piantato a terra, senza nemmeno il coraggio di guardare. A questo punto, la ragazza diventa più dura e si rivolge al ragazzo con un tono sprezzante, come se si trattasse di un criminale; negli occhi ha uno sguardo accusatorio che sbatte in faccia a quel povero disgraziato. Per difendersi il giovane cerca di scrivere qualcosa per comunicare ciò che non riesce a dire; con la bocca prende la penna dal taschino e cerca di scrivere sul tavolino qualcosa. La ragazza gli prende la penna e lo rimprovera severamente dicendogli che non si scrive sui tavolini del treno. Nel vagone è calato un silenzio gelato. Vorrei intervenire, eppure sono bloccato.

La ragazza decide di risolvere la questione in altro modo e in ossequio alla procedura appresa al corso per controllori provetti si dirige a passi decisi in cerca del capotreno. Con la sua uscita di scena i viaggiatori riprendono a respirare, e tutti speriamo che la storia finisca lì: una riprovevole parentesi, una vergogna senza coda, che il controllore lasci perdere e si dedichi a controllare i biglietti al resto del treno. Invece no.
Tornano in due. Questa volta però, prima che raggiungano il giovane disabile, dal mio posto blocco controllore e capotreno e sottovoce faccio presente che data la situazione particolare forse è il caso di affrontare la cosa con un po' più di compassione.

Al che la ragazza, apparentemente punta nel vivo, con aria acida mi spiega che sta compiendo il suo dovere, che ci sono delle regole da far rispettare, che la responsabilità è sua e io non c'entro niente. Il capotreno interviene e mi chiede qual è il mio problema. Gli riepilogo la situazione. Ascoltata la mia "deposizione", il capotreno, anche lui sulla trentina, stabilisce che se il giovane non aveva fatto in tempo a fare il biglietto la colpa era sua e che comunque in stazione ci sono le macchinette self service. Sì, avete capito bene: a suo parere la soluzione giusta sarebbe stata la macchinetta self service. "Ma non ha braccia! Come faceva a usare la macchinetta self service?" chiedo al capotreno che con la sua logica burocratica mi risponde: "C'è l'assistenza". "Certo, sempre pieno di assistenti delle Ferrovie dello Stato accanto alle macchinette self service" ribatto io, e aggiungo che le regole sono valide solo quando fa comodo perché durante l'andata l'Eurostar con prenotazione obbligatoria era pieno zeppo di gente in piedi senza biglietto e il controllore non è nemmeno passato a controllare il biglietti. "E lo sa perché?" ho concluso. "Perché quelle persone le braccia ce l'avevano...".

Nel frattempo tutti i passeggeri che seguono l'evolversi della vicenda restano muti. Il capotreno procede oltre e raggiunto il ragazzo ripercorre tutta la procedura, con pari indifferenza, pari imperturbabilità. Con una differenza, probabilmente frutto del suo ruolo di capotreno: la sua decisione sarà esecutiva. Il ragazzo deve scendere dal treno, farsi un biglietto per il successivo treno diretto a Roma e salire su quello. Ma il giovane, saputa questa cosa, con lo sguardo disorientato, sudato per la paura, inizia a scuotere la testa e tutto il corpo nel tentativo disperato di spiegarsi; spiegazione espressa con la solita esplicita, evidente parola: handicap.

La risposta del capotreno è pronta: "Voi (voi chi?) pensate che siamo razzisti, ma noi qui non discriminiamo nessuno, noi facciamo soltanto il nostro lavoro, anzi, siamo il contrario del razzismo!". E detto questo, su consiglio della ragazza controllore, si procede alla fase B: la polizia ferroviaria. Siamo arrivati alla stazione di (...). Sul treno salgono due agenti. Due signori tranquilli di mezza età. Nessuna aggressività nell'espressione del viso o nell'incedere. Devono essere abituati a casi di passeggeri senza biglietto che non vogliono pagare. Si dirigono verso il giovane disabile e come lo vedono uno di loro alza le mani al cielo e ad alta voce esclama: "Ah, questi, con questi non ci puoi fare nulla altrimenti succede un casino! Questi hanno sempre ragione, questi non li puoi toccare". Dopodiché si consultano con il capotreno e la ragazza controllore e viene deciso che il ragazzo scenderà dal treno, un terzo controllore prenderà i soldi del disabile e gli farà il biglietto per il treno successivo, però senza posto assicurato: si dovrà sedere nel vagone ristorante.

Il giovane disabile, totalmente in balia degli eventi, ormai non tenta più di parlare, ma probabilmente capisce che gli sarà consentito proseguire il viaggio nel vagone ristorante e allora sollevato, con l'impeto di chi è scampato a un pericolo, di chi vede svanire la minaccia, si piega in avanti e bacia la mano del capotreno.

Epilogo della storia. Fatto scendere il disabile dal treno, prima che la polizia abbandoni il vagone, la ragazza controllore chiede ai poliziotti di annotarsi le mie generalità. Meravigliato, le chiedo per quale motivo. "Perché mi hai offesa". "Ti ho forse detto parolacce? Ti ho impedito di fare il tuo lavoro?" le domando sempre più incredulo. Risposta: "Mi hai detto che sono maleducata". Mi alzo e prendo la patente. Mentre un poliziotto si annota i miei dati su un foglio chiedo alla ragazza di dirmi il suo nome per sapere con chi ho avuto il piacere di interloquire. Lei, dopo un attimo di disorientamento, con tono soddisfatto, mi risponde che non è tenuta a dare i propri dati e mi dice che se voglio posso annotarmi il numero del treno.

Allora chiedo un riferimento ai poliziotti e anche loro si rifiutano e mi consigliano di segnarmi semplicemente: Polizia ferroviaria di (...). Avrei naturalmente voluto dire molte cose, ma la signora seduta accanto a me mi sussurra di non dire niente, e io decido di seguire il consiglio rimettendomi a sedere. Poliziotti e controllori abbandonano il vagone e il treno riparte. Le parole della mia vicina di posto sono state le uniche parole di solidarietà che ho sentito in tutta questa brutta storia. Per il resto, sono rimasti tutti fermi, in silenzio, a osservare.

da La Repubblica, QUEL RAGAZZO SENZA BRACCIA SUL TRENO DELL'INDIFFERENZA di Shulim Vogelmann

Thursday, December 24, 2009

Cose sporche

"Dimmi cose sporche", era la richiesta che odiavo più di tutte. La prima volta fu davvero difficile farlo. Avevo la mente completamente vuota e, se me lo chiedevano nel bel mezzo di un rapporto sessuale, questa richiesta mi distruggeva la concentrazione. Mi congelavo e il cuore mi sprofondava nelle viscere. Semplicemente, non sapevo che cosa dire. Cosa diavolo dite voi? Scoprii che guardare dei film porno un po' mi aiutava a prepararmi a situazioni come questa, ma mi ci vollero mesi di lavoro nel bordello per arrivare a sentirmi a mio agio e non in preda a una risatina isterica quando dicevo: "Forza, dai ragazzo, scopami più forte! Più veloce!", e tutte le altre battute idiote che possono venire in mente. Mi aiutava ripetere frasi di questo tipo di continuo ad alta voce, forte e chiaro, alcune volte persino davanti allo specchio. Ben presto smisi di sentirmi imbarazzata ma impiegai molto più tempo a far mia questa cosa rispetto a ogni altra tecnica imparata in quel periodo.

Al pari del parlare sporco c'era anche la solita vecchia domanda: "Qual è la cosa più perversa che tu abbia mai fatto?"

Adesso, cos'è che una persona normale può definire perverso? Questa domanda mi lasciava sempre interdetta. non voglio sembrare blasé ma, quando hai fatto così tante cose bizzarre e meravigliose, qual è la definizione di perverso? Nel mio mondo, dopo un po' anche le oscenità più macroscopiche finiscono per diventare routine!

Ditemi. Essere ammanettata alla sbarra di una barca è più perverso che colpire un avvocato con una bacchetta? Magari con lui vestito con biancheria rosa tutta pizzi e merletti? Uno spettacolino lesbo è più perverso che sodomizzare un uomo con un pene finto? E cosa ne pensate di vestirsi di lattice dalla testa ai piedi? O di un'orgia? La lista è infinita: allora qual è la cosa più perversa che io abbia mai fatto?


Parrocchiane, gentil sesso facilmente impressionabile e perbeniste (anche se solo d'apparenza), astenersi dalla lettura di FUCKING GIRL, di Miss S..

Ammetto di averlo letto tutto d'un fiato e di aver fantasticato parecchio sulle scene narrate, durante i miei sogni notturni (e anche diurni).

Tuesday, December 22, 2009

Ricordi nella neve

Paola lavora nel mio ufficio da una vita. Una vita vera: è stato il suo primo impiego ed ora le mancano 2 anni alla pensione. Dice che sia volata, che abbia visto tanti di quei volti andare e venire, che abbia avuto una scuola severa e dura, dei dirigenti di un tempo.
Incorruttibile, è l’unica che riceve un pensiero natalizio dai clienti. Non dovrebbe accettare nulla, dice, ma intanto sorride soddisfatta.
Ha vissuto un periodo decoupage notturno, in cui fabbricava chincaglierie per l’ufficio e non solo: non riusciva a dormire, la notte aiuta a pensare, soprattutto se si lavora con le mani.
Oggi in pausa caffè mi ha raccontato il suo ricordo più bello. Sotto la neve. La sua mano nella mano di suo padre, bambina all’uscita dalle prove di una recita scolastica. Una passeggiata silenziosa in tarda serata, sotto una miriade di fiocchi di neve e l’immagine più forte nella sua memoria: solo le sue piccole orme e quelle enormi di suo padre, girando la testolina indietro.

Sabato ho corso a perdifiato nella neve alta, giornata glaciale ma con uno splendido sole.
Non avevo mai fatto l’angelo nella neve prima, ho mollato ogni freno. Bambina per pochi secondi, forse per due minuti nella neve. Avrei prolungato l’attimo se non fosse arrivato Lupobilly desideroso di sdraiarsi in un’ala dell’angelo da me tracciata, leccandomi la faccia. Quel cane testardo mi ha reso quel momento magico.

Tuesday, December 15, 2009

Parola d'ordine: cattiveria

E nel cammino del nostro ritorno dalla mensa aziendale, mi ritrovai immersa in una conversazione animata dalle mie compagne di merenda, anzi, di pranzo.
Nello sproloquio di ognuna sulle proprie esperienze in fatto di uomini e relativa situazione attuale, disastrosa, baciata dalla fortuna o inesistente, una sola verità: non se ne può fare a meno.
Solidarietà femminile: esiste, ma solo in pochissimi casi. Vera amicizia, unite contro lo stesso nemico, unite contro la razza maschile.
Ed è soprattutto contro questo “essere” incomprensibile e dalle poche funzioni vitali che ci si unisce per consigliare, aiutare, spronare, inducendo la “compagna di guerra” in difficoltà a combattere con quelle armi che si pensa di non poter avere o di non poter usare.
Dotazione per la soldatessa: un po’ di sana cattiveria (leggi “fare la stronza”).
Del perché questa sia l’arma sempre scarica e più inefficace non se n’è parlato. Ma era sottinteso.

Thursday, December 3, 2009

Na' camurria

Sta arrivando il freddo anche nella punta del nostro stivale. I tavolini fuori dai bar resistono, come resistono coloro che decidono di sedercisi sorseggiando un caffè, sperando in un raggio di sole che li riscaldi. L'importante è prendere un pò d'aria di mare e non abbandonare troppo in fretta le abitudini estive.
La Calabria mi sta entrando pian piano nel cuore. Come la sua gente e le sue abitudini.
Mi sono persa nei gesti di un pescatore ieri sera dopo il lavoro, in quei gesti semplici di uomo di mare, vestito come i marinai raffigurati nei libri di fiabe per bambini, dolcevita in lana pettinata sottile ceruleo e pantaloni in coste di velluto marroni: arrampicato su una scala in legno fissava le luci di Natale all'ingresso della sua trattoria.
Il pescatore non mi ha fatto scegliere su un menù, fattomi sedere in questa semplice trattoria mi ha chiesto se mi fidavo di lui. Si, e mi ha promesso di cucinarmi solo pesce pescato la mattina stessa.
Attorno tavoli di vecchietti soli e famiglie di questo piccolo paesino sulla costa cosentina, tutti intenti a mangiare silenziosi ed a guardare il telegiornale delle 20 su Raiuno. Come negli anni '50, quando di televisioni ce n'erano poche, in bianco e nero, e solo chi aveva un'attività poteva permettersela. Riuniti davanti allo schermo a commentare le parole udite.
Ieri sera ero intenta a commentare insieme al mio vicino di tavolo, un signore dal dialetto calabrese stretto ma dalla mentalità ampia, il servizio sullo scandalo dei transessuali e politici a Roma. Il signore schifato si è pronunciato: "ce vole la casa chiusa, cumu facevamu nuantre da picciotti pè iere a buttane. Tutti intra a fare schefee, se nò rimane nà camurria".