Faccio incontri interessanti ultimamente. O forse ho sempre
avuto l’occasione per farli ma poca attenzione nel notarli.
Al ritorno dal lavoro o da qualche serata divertente, ormai da
settimane, una nutria che ho soprannominato Poldo mi aspetta davanti al
cancello di casa. Non che sia un animale da compagnia la nutria e nemmeno da
simpatia. Ma Poldo rientra nella tana poco distante il mio giardino, sereno,
dopo essersi accertato del mio rientro a casa. Ieri sera, al ritorno da una
serata a base di cibarie etniche greche in un bel localino del centro, Poldo
aspettava. Seduto come sempre, ma accompagnato da un altro suo simile. La
seconda nutria, più piccolina, soprannominata al volo Gertrude, penso sia sua
moglie. Voleva che anche lei mi vedesse? Hanno osservato l’apertura del
cancello, la macchina in garage, il mio salire le scale, il mio chiudere la
porta e si sono ritirati ancora una volta nella loro tana. Ho come la
sensazione di essere materiale interessante di conversazione per loro. Poldo le
avrà parlato di me le sere scorse, prima di addormentarsi con lei, a letto.
Anche loro avranno un loro modo di conversare…gli argomenti preferiti
potrebbero essere le stranezze umane. Le mie.
Mercoledì a pranzo, scelgo gamberi e verdure in un sushi bar
di Genova. Tanta gente, sono sola, mi accomodo ad un tavolo occupato già da una
donna ed una piccola bambina in spalla. La donna parla da sola, in
continuazione. All’inizio penso che stia parlando con la bambina, ma le parole
e gli argomenti erano di portata un po’ troppo razionale per una bimba di 3
anni. Cerco tra il suo mangiare e parlare di notare un auricolare: magari era
al telefono con qualcuno. Nessun auricolare. Parlava con se stessa. Spinta da
un moto di solidarietà femminile, cerco di farla parlare almeno con me,
facendole i complimenti per la bimba che nel frattempo giocava su un seggiolino
di fianco. “Questa è la terza, ma è molto brava”. “Complimenti, in un momento
in cui si fanno sempre meno figli, vedere l’orgoglio di chi sceglie di farne è
un piacere”. “I figli sono speranza” e mi sorride. Mi alzo e mi incammino,
sentendomi molto piccola. La donna che parlava da sola parlava con la speranza
di sentirsi ascoltata. Forse avrei dovuto continuare a farsi ascoltare da sè.
Al ritorno da Genova, un incidente sull’autostrada della Cisa,
è la causa del mio sostare 2 ore in colonna. A motore spento. Ore 18.00. Ho
sete. Ore 19.00. Dovrei fare la pipì. Ore 20.00. Ho fame e vorrei non dormire
qui. Sola, immersa nell’appennino Tosco-Emiliano, al buio, non ho paura. Circondata
da quelle montagne che comincio a conoscere molto bene perché temute ad inizio
scalata ed amate in vetta, comincio a pensare che i 30 anni mi facciano molto
bene. La consapevolezza di ogni emozione che mi suscita ogni diversa
circostanza è ciò che i 20 anni non mi avevano dato.
Adesso mi fermo. Ogni tanto.
“Andate voi. A me piace qui” potrebbe essere il titolo
dell’album fotografico e non solo dell’arrivo dei miei 30 anni.
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