Saturday, May 12, 2012

Own goal

Sono stata bersagliata per giorni a Londra da uno slogan pubblicitario di un noto brand di abbigliamento sportivo che però potrebbe applicarsi perfettamente alle nostre vite: Which own goal?
Nei momenti peggiori del mio essere parte integrante del meccanismo capitalistico, a volte rimango delusa dal sorprendermi a sperare che arrivi sera, che arrivi il week end. Come se non vivessi "durante il giorno" perchè lavoro, ma solamente nel "tempo libero". Come se non potessi  godermi il tempo trascorso con persone che sono di destino "colleghi" e non amici, ma che potrebbero comunque rivelarsi piacevoli.
Ma siamo sicuri di voler vivere solamente durante il tempo libero? Perchè purtroppo quest'ultimo è una percentuale nettamente inferiore del tempo che trascorriamo al lavoro. Vivremmo troppo poco. Sopravviveremmo troppo.
Ho letto l'estenuante libro di Natsuo Kirino, Grotesque, e la vita di un malvivente cinese emigrato in Giappone narrata nel libro mi fa riflettere sull'importanza delle scelte e delle occasioni fortuite lungo il corso della vita di ciascuno. Nato nelle campagne sperdute della Cina, per non morire di fame decide di emigrare nelle grandi città e successivamente all'estero raccontando il viaggio della speranza che numerosi emigrati cinesi hanno fatto stipati in container di ferro su navi mercantili con un cacciavite in mano. Per fare dei buchi appena l'aria si sarebbe fatta irrespirabile, dopo qualche ora dalla chiusura del container e dalla partenza della nave dal porto. Zhezhong sostiene che in Cina dove si nasce determini il futuro delle persone. Credo che questo avvenga non solo in Cina e che un cacciavite in mano serva sempre, anche quando il container è solo mentale, nell'Occidente ed ora. 
Non ho ancora ben chiari quali siano i miei obiettivi ed aspirazioni personali, ho sempre corso, a volte anche solo sapendo da dove venivo e non volevo stare ma non sapendo verso dove.
Ripenso spesso a dove e come sono cresciuta, soprattutto negli ultimi anni, e mi succede in momenti dove dovrei pensare a tutt'altro. Mi capita spesso di emozionarmi e commuovermi mentre parlo in pubblico, davanti ad una platea famelica di cento persone, che scrive, riflette, memorizza ciò che dico. Penso a chi sia io, infondo, per poter dire ad altri cose che dovrebbero fare e come farle. E mi commuovo perchè in quel momento, mentre continuo a parlare e i miei occhi diventano lucidi, penso alla bambina che ero, quella che scavava in giardino in campagna per cercare dei lombrichi per andare a pescare con suo nonno, quella che voleva fare l'archeologa perchè scavando trovava "cose rare", quella che accarezzava le mucche e ficcava loro la mano in bocca per farsela massaggiare dalla loro linguaccia ruvida e gigante. Pensare che queste persone credono a quello che dice una giovane donna che viene dalla campagna e che ama le vacche mi commuove sempre.

No comments: