Dunque, siamo preoccupati di come sta andando il mondo, siamo preoccupati di come potrebbe essere il nostro futuro, siamo preoccupati di quanto sia sempre più difficile e disumanizzante vivere nei luoghi di lavoro e di vita. I più sensibili fra noi, o forse sarebbe meglio dire i meno garantiti, sono preoccupati che la situazione precipiti improvvisamente, sotto i loro occhi, e non ci sia assolutamente più tempo di organizzare nulla, per costruire qualche cosa che si possa configurare come duraturo, né per la loro salute, né per la loro saldezza psicologica, né per la loro tranquillità economica, né per la loro crescita a livello spirituale se ciò a loro sta a cuore, né, ancor più drasticamente, per la loro stessa sopravvivenza fisica.
Molte persone sono preoccupate di essere cacciate dal lavoro (milioni ne sono già state cacciate e ancor di più non riescono nemmeno ad averne mezzo, di lavoro) e di trovarsi senza sapere più come fare per vivere ancora in una casa che non sia fatta di quattro cartoni sotto i ponti. Nella situazione attuale tutti gli esseri umani minimamente consapevoli e intelligenti condividono almeno un po’ queste preoccupazioni.
La preoccupazione può anche essere rivolta a un versante non generalizzabile, che riguarda le nostre vicende personali, famigliari, le nostre vicende più intime. Sono preoccupazioni che hanno a che vedere con la salute fisica o psicologica del nostro compagno, della nostra compagna, di nostro papà, di nostra mamma, di nostro figlio o di nostra figlia.
Magari siamo anche preoccupati per qualche cosa che ha a che fare con il nostro particolare lavoro perché, all’interno di una crisi generale, il settore lavorativo che ci interessa più da vicino, ne sta risentendo più di altri; siamo preoccupati perché sentiamo che gli anni stanno passando e non siamo più così efficienti come una volta.
Insomma le preoccupazioni possono essere tante, su diversi versanti: quelle a cui accennavo prima sono preoccupazioni generalizzabili alla maggior parte degli esseri umani dotati di un minimo di sensibilità e di intelligenza.
Da tutte queste preoccupazioni, siano esse generalizzabili a tutti, o più inerenti al proprio privato, alla propria famiglia, alle proprie relazioni, al proprio lavoro, possono derivare diverse conseguenze.
* * *
Quando abbiamo una preoccupazione è importante osservare se rimane come tale o se ristagna trasformandosi in paura o, ancor peggio, in angoscia; se diventa paralizzante; se si attacca alle cellule, determinando qualche malattia fisica; se si traduce in un giro senza fine della nostra mente, attorno a pensieri che ci fanno paura, o anche orrore.
Se accade questo, la preoccupazione la possiamo proprio chiamare, a pieno titolo, “paura del futuro”, che poi non è nient’altro che la proiezione mostrificata di un presente che contiene in sé i germi dei mostri.
Noi possiamo, a questo punto, rimanere prigionieri di questo stato di cose, oppure possiamo anche decidere di superare la paura rendendoci conto, attraverso la riflessione, la lettura, lo studio e tutte le modalità che ognuno di noi sente migliori per sé, che questo è un mondo che non può che essere così, date le premesse storiche, politiche, economiche, geografiche, sociali, culturali, che, attraverso i secoli e i millenni, lo hanno portato fino a questo punto.
Una volta che siamo profondamente consapevoli di questo, possiamo decidere di restare dentro le conseguenze di quelle premesse, oppure di non giocare più quel tipo di gioco, o meglio, starci quel tanto che ci consente di portare a casa un po’ di soldi a fine mese e di svolgere il nostro lavoro meglio che possiamo e basta, perché la nostra anima o il nostro istinto di sopravvivenza, fa lo stesso, è desiderosa di qualche cosa d’altro.
E, nel frattempo, mentre abbiamo ancora un tetto sopra la testa, procuriamoci almeno un cappello e qualche cartone, dato che è proprio possibile che fra non molto tempo andranno a ruba sia i cappelli sia i cartoni.
* * *
La parte più profonda di noi stessi non ha affatto voglia di questa situazione infernale, è proprio nauseata di starci, anzi ne è già uscita da un pezzo.
La nostra anima desidera altri spazi e non certo per fuggire da questa realtà, come dicono alcuni maliziosi rispetto a tutti coloro che intraprendono un sentiero di ricerca della pace interiore, né per crearsi un’illusione, un nirvana fantastico in alternativa all’inferno. No, l’anima vuole altro, perché sa che ha bisogno di un terreno particolare, essendo un fiore delicato, per potersi sviluppare ed esprimere in tutta la sua bellezza e in tutta la sua fragranza. Questo terreno non è certamente quel mondo che ci viene proposto come l’unico mondo reale, dalla storia, dalla cultura e dalla maggior parte degli esseri umani.
A un certo punto ci si sveglia e si sente benissimo che ci sono due realtà parallele, altrettanto vere come pregnanza di realtà: la realtà convenzionale, quella condivisa dai più, quella in cui si sviluppano tutte le nostre angosce, le nostre preoccupazioni, le nostre paure e la realtà di un mondo fatto fondamentalmente di benevolenza, di amore, di amicizia. Sentiamo che quest’ultimo è il mondo di cui ha bisogno la nostra anima. Possiamo forse dire che la nostra anima è meno reale della nostra personalità? I bisogni della nostra anima sono forse meno reali dei bisogni egoici che si sono sviluppati, dentro di noi, da quando avevamo due ore, come età anagrafica, sia per le sollecitazioni premurose di nostro padre e di nostra madre, che per l’assenza delle stesse sollecitazioni?
La nostra anima vuole potersi nutrire di parole buone, di un clima buono dal punto di vista energetico, dove, a volte, non servono nemmeno le parole, ma bastano le presenze dei corpi.
Molte persone sono preoccupate di essere cacciate dal lavoro (milioni ne sono già state cacciate e ancor di più non riescono nemmeno ad averne mezzo, di lavoro) e di trovarsi senza sapere più come fare per vivere ancora in una casa che non sia fatta di quattro cartoni sotto i ponti. Nella situazione attuale tutti gli esseri umani minimamente consapevoli e intelligenti condividono almeno un po’ queste preoccupazioni.
La preoccupazione può anche essere rivolta a un versante non generalizzabile, che riguarda le nostre vicende personali, famigliari, le nostre vicende più intime. Sono preoccupazioni che hanno a che vedere con la salute fisica o psicologica del nostro compagno, della nostra compagna, di nostro papà, di nostra mamma, di nostro figlio o di nostra figlia.
Magari siamo anche preoccupati per qualche cosa che ha a che fare con il nostro particolare lavoro perché, all’interno di una crisi generale, il settore lavorativo che ci interessa più da vicino, ne sta risentendo più di altri; siamo preoccupati perché sentiamo che gli anni stanno passando e non siamo più così efficienti come una volta.
Insomma le preoccupazioni possono essere tante, su diversi versanti: quelle a cui accennavo prima sono preoccupazioni generalizzabili alla maggior parte degli esseri umani dotati di un minimo di sensibilità e di intelligenza.
Da tutte queste preoccupazioni, siano esse generalizzabili a tutti, o più inerenti al proprio privato, alla propria famiglia, alle proprie relazioni, al proprio lavoro, possono derivare diverse conseguenze.
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Quando abbiamo una preoccupazione è importante osservare se rimane come tale o se ristagna trasformandosi in paura o, ancor peggio, in angoscia; se diventa paralizzante; se si attacca alle cellule, determinando qualche malattia fisica; se si traduce in un giro senza fine della nostra mente, attorno a pensieri che ci fanno paura, o anche orrore.
Se accade questo, la preoccupazione la possiamo proprio chiamare, a pieno titolo, “paura del futuro”, che poi non è nient’altro che la proiezione mostrificata di un presente che contiene in sé i germi dei mostri.
Noi possiamo, a questo punto, rimanere prigionieri di questo stato di cose, oppure possiamo anche decidere di superare la paura rendendoci conto, attraverso la riflessione, la lettura, lo studio e tutte le modalità che ognuno di noi sente migliori per sé, che questo è un mondo che non può che essere così, date le premesse storiche, politiche, economiche, geografiche, sociali, culturali, che, attraverso i secoli e i millenni, lo hanno portato fino a questo punto.
Una volta che siamo profondamente consapevoli di questo, possiamo decidere di restare dentro le conseguenze di quelle premesse, oppure di non giocare più quel tipo di gioco, o meglio, starci quel tanto che ci consente di portare a casa un po’ di soldi a fine mese e di svolgere il nostro lavoro meglio che possiamo e basta, perché la nostra anima o il nostro istinto di sopravvivenza, fa lo stesso, è desiderosa di qualche cosa d’altro.
E, nel frattempo, mentre abbiamo ancora un tetto sopra la testa, procuriamoci almeno un cappello e qualche cartone, dato che è proprio possibile che fra non molto tempo andranno a ruba sia i cappelli sia i cartoni.
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La parte più profonda di noi stessi non ha affatto voglia di questa situazione infernale, è proprio nauseata di starci, anzi ne è già uscita da un pezzo.
La nostra anima desidera altri spazi e non certo per fuggire da questa realtà, come dicono alcuni maliziosi rispetto a tutti coloro che intraprendono un sentiero di ricerca della pace interiore, né per crearsi un’illusione, un nirvana fantastico in alternativa all’inferno. No, l’anima vuole altro, perché sa che ha bisogno di un terreno particolare, essendo un fiore delicato, per potersi sviluppare ed esprimere in tutta la sua bellezza e in tutta la sua fragranza. Questo terreno non è certamente quel mondo che ci viene proposto come l’unico mondo reale, dalla storia, dalla cultura e dalla maggior parte degli esseri umani.
A un certo punto ci si sveglia e si sente benissimo che ci sono due realtà parallele, altrettanto vere come pregnanza di realtà: la realtà convenzionale, quella condivisa dai più, quella in cui si sviluppano tutte le nostre angosce, le nostre preoccupazioni, le nostre paure e la realtà di un mondo fatto fondamentalmente di benevolenza, di amore, di amicizia. Sentiamo che quest’ultimo è il mondo di cui ha bisogno la nostra anima. Possiamo forse dire che la nostra anima è meno reale della nostra personalità? I bisogni della nostra anima sono forse meno reali dei bisogni egoici che si sono sviluppati, dentro di noi, da quando avevamo due ore, come età anagrafica, sia per le sollecitazioni premurose di nostro padre e di nostra madre, che per l’assenza delle stesse sollecitazioni?
La nostra anima vuole potersi nutrire di parole buone, di un clima buono dal punto di vista energetico, dove, a volte, non servono nemmeno le parole, ma bastano le presenze dei corpi.
La nostra anima vuole stare in un acquario fatto di pesci buoni, non in una vasca con i pescecani affamati.
Immaginiamoci una grande vasca dove ci sono i pescecani che girano e, a fianco, immaginiamoci un’altra grande vasca in cui ci sono invece i delfini: in quale sceglieremmo di gettarci?
Nel momento in cui ci gettiamo nella vasca dei delfini, c’è sicuramente qualche benpensante che ci viene a dire: “Guarda che la realtà è quella dei pescecani” e noi, allora, possiamo sempre rispondere: “Diciamo pure che i pescecani sono quelli che vivono in un mondo dove mi è possibile avere uno stipendio e li frequenterò fintanto che avrò bisogno di guadagnare un po’ di soldi per vivere. Ma, appena posso, faccio il salto nella vasca dei delfini e me ne sto con loro, perché lì sto meglio”.
Più saremo dentro una visione di questo tipo, più saremo convinti che c’è bisogno di potenziare gli oceani popolati da pesci che si nutrono d’amore. Più saremo convinti di essere, noi stessi, dei pesci desiderosi d’amore e più sentiremo la necessità di donare tutto l’amore che c’è dentro di noi, a chiunque.
Più riusciremo a stare assieme in tanti, superando vanità, orgoglio, competizione, scontro, invidia, gelosia, e più i pescecani, in file ordinate, andranno dal loro dentista a togliersi i denti, perché anche loro, a quel punto, desidereranno fare il salto.
Certo, dobbiamo consolidare una situazione in cui sia molto allettante lo stare nella vasca dei delfini. Per fare questo è necessario esserci tutti, con il nostro cuore, con le nostre doti (di qualunque tipo esse siano), con la mente aperta, con la nostra energia buona che nasce dal profondo bisogno, presente in tutti gli esseri umani, d’amicizia, d’ amore, di condivisione, di comprensione.
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Abbiamo bisogno di una parola buona perché, a furia di non dire parole buone, la bocca diventa storta: se guardiamo in faccia le persone che non dicono mai parole buone, noteremo che hanno sempre qualche deviazione della linea buccale.
Dalla preoccupazione, quindi, può nascere un sano desiderio che propongo di esprimere in questo modo: “Mi sono proprio rotto le scatole di essere un Fantozzi qualunque”.
La differenza che mi auguro ci sia tra noi e Fantozzi è che Fantozzi non crede nell’amore: è semplicemente un mendicante di attenzioni. Quasi tutti, oggi, sono mendicanti di attenzioni e, in quanto tali, non credono nell’amore, perché l’amore prevede spesso di rinunciare a una grande parte di sé: quella che ci fa sentire, sempre, al centro del mondo.
La preoccupazione, se non viene trasformata, è la più potente arma che stanno usando i signori della terra, da sempre, per condizionarci a fare quello che vogliono loro. Ma la nostra anima, fortunatamente, ancora non l’hanno presa a tutti noi, ed è molto importante, oggi più che mai, che le anime di tutte le persone che non si sono fatte catturare, si mettano assieme.
Il tempo ci sarà, perché la catastrofe non è così imminente, anzi posso anche dire che non ci sarà nessuna catastrofe, per quello che può valere la mia previsione. Ci sarà una crescente disumanizzazione, peraltro già in atto, ma sarà fronteggiata proprio dall’insieme di anime che sprigionano un’energia d’amore. Questo, credo, possa essere l’unico modo, non solo per difendersi, ma anche per curare le altre anime che si sono fatte catturare da quel gioco.
La vasca dei delfini, quindi, non è solo il luogo dove fuggire, ma è, soprattutto, il luogo dal quale irradiare amore, per poterlo portare anche nella vasca dei pescecani. Se stiamo tutto il giorno nella vasca dei pescecani, dove lo peschiamo l’amore? Dopo un po’ si esaurisce e abbiamo allora bisogno di nuotare di nuovo nella vasca dei delfini, per poterci ricaricare. Ci riempiamo di energia buona, attraverso le pratiche spirituali, e la diffondiamo intorno a noi.
Certamente qualcuno di noi ha bisogno di pulirsi molto e, prima di poter versare dentro il suo recipiente l’acqua santa, deve eliminare le acque nere. In questo senso, ci può essere bisogno anche di gruppi terapeutici, oltre che della condivisione, della meditazione, e della pratica attiva della generosità sempre più direzionata in iniziative di pace e di consolidamento della pace.
Attraverso queste pratiche ci riempiamo di cose buone, le condividiamo tra di noi e, una volta usciti dalla vasca dei delfini, ci portiamo dietro uno stimolo positivo, un’ispirazione a continuare per conto nostro, rafforzandoci ogni giorno attraverso la preghiera, la meditazione e pratiche di altro tipo che sentiamo buone per noi. Possiamo così espandere questo alone energetico buono, in un mondo in cui, come ben sappiamo, dominano altri tipi di energia.
In un primo momento, i pescecani nella vasca a fianco saranno ferocissimi nei nostri confronti e si scaglieranno contro il vetro che separa le vasche, ma dopo un po’ cominceranno a gironzolare un po’ irrequieti e sentiranno forse anche loro il bisogno di smetterla di azzannarsi.
Sto parlando, evidentemente, dei pescecani uomini, perché i pescecani pesci va proprio bene che siano così, è previsto nell’ordine del creato. Gli uomini diventati pescecani, invece, sono una distorsione di ciò che voleva la loro anima.
È tutto compreso in un disegno ordinato, ma il compito, per qualcuno di noi, è ricordare a questi esseri, che si sono smarriti in una distorsione fondamentalmente odontoiatrica e, quindi, di andare più frequentemente dal dentista.
da Nella vasca dei pescecani, Miten Galvagni
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