Sunday, June 21, 2009

A misura di tacco: Treviso

Da quando “Radio” lavora per noi ogni centimetro quadrato veneto e friulano non ha più segreti. Da poco più di due mesi, ogni mia visita nelle sue terre di origine è un’immersione nella storia e nella tradizione triveneta, come se mi trascinasse dentro ad un documentario della famiglia Angela e me lo facesse condurre a fianco di Piero o Alberto.
“Radio” è il nomignolo datole da una mia collega, perché Ele parla veramente tanto e di qualsiasi cosa. La curiosità è la molla della sua sete di conoscenza. I suoi studi universitari in Conservazione dei beni culturali l’opportunità in più per conoscere qualsiasi aspetto storico dell’Italia.
Quel giorno indossava delle ballerine in gomma blu di Marc Jacobs, “finchè non ci sono clienti sto comoda”, sotto un paio di jeans chiari, valorizzati da un foulard Hermes utilizzato sotto i passanti come cintura.
Avevamo un appuntamento nel primo pomeriggio a Conegliano: a pranzo voleva farmi assaggiare la cucina del bar Manin, in pieno centro a Treviso, città in cui si è trasferita, da Pordenone, prima per lavoro, poi si è convinta per amore. All’arrivo in città, estrasse dalla sua auto un paio di decollète beige di Chloè: “con i clienti metto il tacco, per essere un po’ più formale”. Motiva sempre ogni sua scelta ed azione. Non per giustificarsi, ma per sottolineare, a sé in primis, che dietro ogni gesto c’è una logica.
Capii perché calzasse sempre scarpe dal tacco largo, robusto, mai a stiletto. Perché il centro di Treviso non conosce asfalto ma solo sampietrino, ovunque.
Capii perché si trasferii e scelse questa città: delicata, dai colori pastello e poetica. Ogni scorcio è un verso, tanti versi insieme che compongo una città che è una poesia.
Capii perché volle portarmi in quel bar, di proprietà dell’amore che l’aveva convinta a rimanere e della sua famiglia. Perché appena entrate ci fecero sentire come parte della famiglia, io compresa che ero solo una collega, mai vista prima e, forse, che mai vedranno ancora.
Mi fece camminare al suo fianco sotto l’afa crescente del primo pomeriggio, guardando i miei sandali e complimentandosi per aver avuto il sesto senso, quel mattino, di indossare scarpe dal tacco largo, altrimenti mi sarebbe stato impossibile camminare nelle viuzze del centro storico.
Mi raccontò che Treviso fu bombardata pesantemente durante la seconda guerra mondiale, andando in larga parte distrutta, e che il bombardamento del 7 aprile 1944 altro non fu che un errore degli americani, che vedendo una città ricca di corsi d’acqua come Treviso pensò fosse Venezia, il loro obiettivo. Ferme in Piazza Indipendenza mi indicava con una mano l’entità del restauro di Palazzo dei Trecento, che fu ricostruito lasciando i segni di ciò che era andato distrutto.
Mi accompagnò nel quartiere delle Pescherie: qui ogni mattina all’alba si tiene il mercato del pesce appena pescato.
I canali d’acqua sono la fonte del “rumore” del centro città: lo scrosciare continuo è l’unico suono che a lungo andare potrebbe innervosire. Unico, perché i tacchi “giusti” sul pietrino non fanno tic tac, non emettono quel rumore fastidioso che produce l’asfalto.

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