Da patita del “cinema d’essai” faceva un po’ “fedina penale sporca” non avere ancora visto un film di tale calibro alla mia veneranda età. Sono corsa ai ripari parecchi mesi fa.
Uno dei “figli” meglio riusciti di Giuseppe Tornatore.
In una Sicilia del dopo secondo conflitto mondiale, Salvatore, fin da piccolo, si appassiona ad un mestiere particolare: il cinematografo. In realtà è ad Alfredo, il cinematografo del paese, a cui si appassionerà il piccolo protagonista che farà di tutto per diventare suo amico, nonostante la differenza di età: “Alfredo, ora che sono più grande e vado alla quinta, non dico che posso incominciare a venire in cabina, ma magari, perché non diventiamo amici?” “Io scelgo i miei amici per il loro aspetto ed i miei nemici per la loro intelligenza. Tu sei troppo furbo per essere amico mio. E poi io lo dico sempre ai miei figli, mi raccomando, state attenti a trovare gli amici giusti.” “Come se tu figli non ne hai?” “Eh, quando avrò figli glielo dirò”.
Uno scorcio di una Sicilia che vuole rinascere ma che non riesce a rialzarsi. Di siciliani che di rialzarsi fanno il loro obiettivo ed emigrano da una terra considerata maledetta.
A distanza di anni, molti, e di realtà (non si tratta di un film), ciò che i siciliani dicono ancora della loro terra è “maledetta”.
Durante un mio viaggio di poche settimane fa fra Catania e Siracusa, di racconti e di commenti sull’essere oggi siciliani ne ho sentiti molti. Orgogliosi ma delusi allo stesso tempo da una terra che promette tanto ma non riesce a dare, quasi sconfitti da loro stessi, dalle loro origini.
È stata la terza volta in terre sicule. Ogni viaggio a distanza di anni ed ogni volta una sensibilità sempre più marcata verso tutto ciò che mi potesse riportare a quelle che sono anche le mie origini. Madre siciliana assicura seno abbondante, bocca carnosa, sembianze da mora che fa girare la testa. Destino a voluto che prendessi tutto da mio padre.
Sorvolare l’Etna è stato emozionante quanto sorvolare il Fujisan in Giappone l’anno scorso. Ma la vita che sprigiona il primo vulcano, la vita che genera alle sue pendici, non ha eguali, né storici né geografici. Catania è stata distrutta ben sette volte dall’eruzione dell’Etna. Ed è stata ricostruita esattamente dov’era in origine. Le spiagge di ciottoli di pietra lavica sulla costa orientale da Taormina a Catania, i faraglioni sulla spiaggia di Acitrezza, divenuti Riserva Naturale delle Isole dei Ciclopi, sono alcuni esempi di ciò che ha creato nel tempo la natura vulcanica di quest’isola. Un collega siciliano mi ha trasmesso, semplicemente raccontandomelo, l’emozione che si ha, d’inverno, nello sciare sull’Etna e nel vedere il mare mentre si scende a tutta velocità. Credo anch’io, ma Marcello non sapeva assicurarmelo, che l’Etna sia l’unico vulcano attivo al mondo in cui sia possibile sciare e vedere il mare contemporaneamente. Pochissimi siciliani sciano, nonostante ne abbiano la possibilità. I siciliani vivono di mare e sole; d’inverno “vanno in letargo”, dalla primavera all’autunno vivono all’ennesima potenza, sprigionando se stessi nella loro solarità e positività.
Catania è una città impegnativa, se si è al volante. La diseducazione stradale impera, guidarci non è cosa da poco. Camminarci è molto meglio, preferibile se la si vuole vedere in tutta la sua bellezza. La via principale, via Etnea, che taglia la città in due parti, è rimasta la via commerciale più storica. Percorrerla gustandosi la folla a qualsiasi ora e le vetrine dei numerosi negozi è molto piacevole, quanto arrivare pian piano verso piazza del Duomo e scoprire una sinfonia di bianco e nero, il colore dei marmi con cui è stata costruita la cattedrale. Al centro della piazza, la fontana dell’Elefante. Una statua di marmo nero dell’enorme pachiderma, legata ai culti pagani dell’antichità. La prima cosa che un catanese dirà ad un ospite è di guardare l’elegante negli occhi perché è di buon auspicio. L’ho fissato per 5 minuti, chissà…
Un pranzo di lavoro ad Acitrezza, passando per Acicastello, mi ha dato l’opportunità di farmi raccontare i retroscena sul romanzo de “I Malavoglia” di Giovanni Verga, che lo scrittore catanese ambientò proprio ad Acicastello. Dicono che leggendo il romanzo “sul posto” sia possibile percorrere, ancora oggi, le stesse strade e vivere gli stessi “colori” narrati da Verga.
Siracusa si è rivelata una perla. In un bar in piazza Archimede ho mangiato il cannolo siciliano originale più buono. Farcito al momento, davanti ai miei occhi, con ricotta fresca e pistacchi, si è rivelato un ottimo appuntamento pomeridiano nei miei 10 minuti di pausa.
Chiedere sempre ai conoscenti del posto dove andare a mangiare (ed a pernottare). Sono l’unica vera ed affidabile garanzia. Archimede, in Via Gemellaro, laterale di Corso Matteotti, proprio all’inizio di piazza Archimede (zona centro storico di Ortigia) è il ristorante che cucina meglio il cous cous in tutta la città. Causa le invasioni, i domini e le continue influenze arabe, il cous cous è considerato dai siciliani stessi un loro piatto tipico. Ed ammetto che hanno imparato proprio bene a farlo.
I 10 cannoli, acquistati all’aeroporto di Fontanarossa a Catania (da “i dolci di nonna Vincenza”) prima di imbarcarmi ed arrivati in perfette condizioni a casa, si sono rivelati motivo di commozione per tutti in famiglia, ma soprattutto per mia nonna materna, che ingoiandone uno quasi intero mi diceva con un filo di voce “erano anni ed anni che non rimangiavo una cosa così buona e così mia”. Ovviamente dicendolo in dialetto siciliano.
Uno dei “figli” meglio riusciti di Giuseppe Tornatore.
In una Sicilia del dopo secondo conflitto mondiale, Salvatore, fin da piccolo, si appassiona ad un mestiere particolare: il cinematografo. In realtà è ad Alfredo, il cinematografo del paese, a cui si appassionerà il piccolo protagonista che farà di tutto per diventare suo amico, nonostante la differenza di età: “Alfredo, ora che sono più grande e vado alla quinta, non dico che posso incominciare a venire in cabina, ma magari, perché non diventiamo amici?” “Io scelgo i miei amici per il loro aspetto ed i miei nemici per la loro intelligenza. Tu sei troppo furbo per essere amico mio. E poi io lo dico sempre ai miei figli, mi raccomando, state attenti a trovare gli amici giusti.” “Come se tu figli non ne hai?” “Eh, quando avrò figli glielo dirò”.
Uno scorcio di una Sicilia che vuole rinascere ma che non riesce a rialzarsi. Di siciliani che di rialzarsi fanno il loro obiettivo ed emigrano da una terra considerata maledetta.
A distanza di anni, molti, e di realtà (non si tratta di un film), ciò che i siciliani dicono ancora della loro terra è “maledetta”.
Durante un mio viaggio di poche settimane fa fra Catania e Siracusa, di racconti e di commenti sull’essere oggi siciliani ne ho sentiti molti. Orgogliosi ma delusi allo stesso tempo da una terra che promette tanto ma non riesce a dare, quasi sconfitti da loro stessi, dalle loro origini.
È stata la terza volta in terre sicule. Ogni viaggio a distanza di anni ed ogni volta una sensibilità sempre più marcata verso tutto ciò che mi potesse riportare a quelle che sono anche le mie origini. Madre siciliana assicura seno abbondante, bocca carnosa, sembianze da mora che fa girare la testa. Destino a voluto che prendessi tutto da mio padre.
Sorvolare l’Etna è stato emozionante quanto sorvolare il Fujisan in Giappone l’anno scorso. Ma la vita che sprigiona il primo vulcano, la vita che genera alle sue pendici, non ha eguali, né storici né geografici. Catania è stata distrutta ben sette volte dall’eruzione dell’Etna. Ed è stata ricostruita esattamente dov’era in origine. Le spiagge di ciottoli di pietra lavica sulla costa orientale da Taormina a Catania, i faraglioni sulla spiaggia di Acitrezza, divenuti Riserva Naturale delle Isole dei Ciclopi, sono alcuni esempi di ciò che ha creato nel tempo la natura vulcanica di quest’isola. Un collega siciliano mi ha trasmesso, semplicemente raccontandomelo, l’emozione che si ha, d’inverno, nello sciare sull’Etna e nel vedere il mare mentre si scende a tutta velocità. Credo anch’io, ma Marcello non sapeva assicurarmelo, che l’Etna sia l’unico vulcano attivo al mondo in cui sia possibile sciare e vedere il mare contemporaneamente. Pochissimi siciliani sciano, nonostante ne abbiano la possibilità. I siciliani vivono di mare e sole; d’inverno “vanno in letargo”, dalla primavera all’autunno vivono all’ennesima potenza, sprigionando se stessi nella loro solarità e positività.
Catania è una città impegnativa, se si è al volante. La diseducazione stradale impera, guidarci non è cosa da poco. Camminarci è molto meglio, preferibile se la si vuole vedere in tutta la sua bellezza. La via principale, via Etnea, che taglia la città in due parti, è rimasta la via commerciale più storica. Percorrerla gustandosi la folla a qualsiasi ora e le vetrine dei numerosi negozi è molto piacevole, quanto arrivare pian piano verso piazza del Duomo e scoprire una sinfonia di bianco e nero, il colore dei marmi con cui è stata costruita la cattedrale. Al centro della piazza, la fontana dell’Elefante. Una statua di marmo nero dell’enorme pachiderma, legata ai culti pagani dell’antichità. La prima cosa che un catanese dirà ad un ospite è di guardare l’elegante negli occhi perché è di buon auspicio. L’ho fissato per 5 minuti, chissà…
Un pranzo di lavoro ad Acitrezza, passando per Acicastello, mi ha dato l’opportunità di farmi raccontare i retroscena sul romanzo de “I Malavoglia” di Giovanni Verga, che lo scrittore catanese ambientò proprio ad Acicastello. Dicono che leggendo il romanzo “sul posto” sia possibile percorrere, ancora oggi, le stesse strade e vivere gli stessi “colori” narrati da Verga.
Siracusa si è rivelata una perla. In un bar in piazza Archimede ho mangiato il cannolo siciliano originale più buono. Farcito al momento, davanti ai miei occhi, con ricotta fresca e pistacchi, si è rivelato un ottimo appuntamento pomeridiano nei miei 10 minuti di pausa.
Chiedere sempre ai conoscenti del posto dove andare a mangiare (ed a pernottare). Sono l’unica vera ed affidabile garanzia. Archimede, in Via Gemellaro, laterale di Corso Matteotti, proprio all’inizio di piazza Archimede (zona centro storico di Ortigia) è il ristorante che cucina meglio il cous cous in tutta la città. Causa le invasioni, i domini e le continue influenze arabe, il cous cous è considerato dai siciliani stessi un loro piatto tipico. Ed ammetto che hanno imparato proprio bene a farlo.
I 10 cannoli, acquistati all’aeroporto di Fontanarossa a Catania (da “i dolci di nonna Vincenza”) prima di imbarcarmi ed arrivati in perfette condizioni a casa, si sono rivelati motivo di commozione per tutti in famiglia, ma soprattutto per mia nonna materna, che ingoiandone uno quasi intero mi diceva con un filo di voce “erano anni ed anni che non rimangiavo una cosa così buona e così mia”. Ovviamente dicendolo in dialetto siciliano.
1 comment:
Thanks for posting, I like this blog!
cheap cialis
Post a Comment