Riconciliarsi con la propria storia vuol dire, fondamentalmente, accettare di aver avuto la storia che si è avuta. Non riesco a trovare una definizione più semplice di questa.
Vorrei proprio sapere quanti di noi riescono ad accettare pienamente di aver avuto la storia che hanno avuto, dal momento che la maggior parte di noi è sempre in un atteggiamento di protesta, di recriminazione, di rimpianto, rispetto a qualcosa che è successo.
Accettare ciò che noi abbiamo avuto nella nostra vita significa accettare di essere nati in una certa famiglia; accettare di aver avuto un certo padre e una certa madre; accettare di essere nati uomini o donne; accettare di essere nati poveri o ricchi; di essere nati bianchi, neri, gialli. Poi, con il passare degli anni, accettare di aver avuto quelle certe difficoltà quando andavamo a scuola, accettare di aver avuto l’insegnante di latino o di matematica che ci ha perseguitato per quattro anni. Accettare di aver incontrato quell’uomo o quella donna che ci ha fatto molto soffrire. In realtà loro non ci hanno fatto soffrire: è il nostro film che ci ha fatto soffrire, questo ce lo dobbiamo sempre ricordare, ma comunque, tanto per capirsi, accettare che abbiamo incontrato una donna terribile o un uomo terribile che ci ha fatto soffrire perché non era perfettamente aderente al nostro film.
Accettare la nostra storia vuol dire accettare tutto quello che noi siamo stati. E quanto più noi abbiamo ancora delle capacità mentali che funzionano abbastanza bene, tanto più riusciamo a ricostruire la nostra storia.
A volte succede che ci siano delle persone, e mi è capitato di incontrarne abbastanza spesso, che non riescono a ricordarsi che storia hanno avuto.
La nostra storia è quella fatta di tutti i rapporti che abbiamo avuto con la nonna, con il nonno, con lo zio, con la zia, coi cugini, coi fratelli, con le sorelle, con il marito, con la moglie, con i figli, ma soprattutto col papà e con la mamma, insomma con le persone significative che, per periodi più o meno lunghi, hanno girato attorno a noi. Ognuno ne ha un’infinità da ricordare.
Riconciliarsi con la propria storia vuol dire guardare a tutto ciò con tenerezza accettante. È la nostra storia, non ne abbiamo altre a disposizione. Teniamocela cara e rispettiamola. Rispettiamola per quello che è stata, anche con tutte le tragedie e con tutti i massacri che possiamo aver vissuto: è la nostra storia. E, nonostante i dolori provati e che ancora proviamo, siamo ancora vivi e siamo ancora capaci di scambiare tra di noi, siamo ancora capaci di darci qualcosa, siamo ancora capaci di essere con il cuore aperto, e siamo capaci ancora di ridere e di gioire. Siamo capaci di apprezzare la vita nonostante siamo stati, a volte, vittime, più o meno reali, di situazioni molto difficili da superare.
Riconciliarci con la nostra storia vuol dire dare alla nostra storia quello che si merita, perché non c’è nessuna storia da buttare nella spazzatura. Ogni storia è una storia di bassezze, di grandiosità, di eroismi, di egoismi, di cose in luce e cose in ombra che si intrecciano continuamente, ma è, nel caso specifico, la nostra storia.
E la nostra storia siamo noi. Nella nostra storia possiamo dire che si è manifestato, a un livello “famo strano” il nostro karma, e per molti è sufficiente sapere questo. A un livello psicologico si sono manifestate tutte le cose che hanno a che vedere con le emozioni, con la nostra capacità mentale, con il funzionamento della nostra mente superiore, della nostra mente inferiore, con la nostra personalità. Tutto si è manifestato nella nostra storia. E si è manifestato soprattutto attraverso il nostro corpo. Tuttora si sta manifestando attraverso il nostro corpo, anche nelle nostre relazioni. Il nostro corpo è il luogo dell’incontro con noi stessi e con gli altri.
La nostra storia siamo noi. Non è che noi siamo adesso nel presente, e quello che viene prima è la nostra storia. A volte facciamo questa operazione che è sbagliata da un punto di vista logico. Non è che ci siamo noi, adesso, e la nostra storia è un’altra cosa. No, è un tutto unico, un tutto continuo. È un tutto continuo ed è come se, in un film, ci fosse un trascinamento di un’immagine in cui c’è un personaggio che è presente, sovrapposto, inserito, dentro scenari molto diversi tra loro. A un certo punto il film si ferma su uno scenario particolare, e il personaggio ha il volto, il corpo, l’espressione che noi abbiamo in questo momento. Quello è il momento presente. E poi il film riprende, gli scenari mutano...
Siamo noi, siamo un continuum, un flusso. Noi siamo un flusso. È un nostro imbroglio mentale quello di pensare che noi siamo solo ciò che ci sembra di essere adesso. Quello che noi chiamiamo passato, quello che noi chiamiamo futuro, è tutto un presente.
Recuperare la nostra storia è recuperare anche qualche cosa che c’è adesso. Non è che noi possiamo dire: "Io mi accetto come sono adesso, ma non accetto la mia storia". Se non ci fosse la nostra storia, noi non potremmo essere così come siamo. Oppure: "Io non mi accetto come sono adesso, ma accetto invece come ero una volta". Sono discorsi artificiosi, sono menate di testa, filosofie. Siamo un tutt’uno. La nostra storia è un tutt’uno.
Nessuno di noi potrebbe essere quello che è adesso, se non avesse la storia che ha avuto. Non potrebbe essere così neanche fisicamente. Se noi riuscissimo per un momento a capire che siamo un tutt’uno con la nostra storia, che non siamo scindibili dalla nostra storia, non lo sentiremmo più come un atto generoso da parte nostra, quello di accettare un noi stessi che appartiene al 2011, o al 2001, al 1991, al 1981, al 1971 e così via. Sentiremmo che è necessario, se desideriamo accettarci per come siamo oggi, accettare anche ciò che siamo stati. E quando dico accettare ciò che siamo stati, non vuol dire giustificare le cattiverie o le brutture che possiamo avere fatto. Vuol dire semplicemente accettare il fatto che siamo stati così, che è l’unica premessa per non negare, per non nascondere, per non occultare, per non fare come gli struzzi cacciando la testa sotto la sabbia. L’accettazione è la sola premessa possibile a ogni trasformazione e non vuole assolutamente dire condividere e appoggiare. Vuol dire semplicemente accettare che è così.
Accettare chi siamo vuol dire accettare che siamo degli esseri umani con dei limiti, con delle ombre ma anche con delle luci. Vuol dire accettare che possiamo avere anche le cose più orrende dentro di noi. Non vuol dire accettare le cose orrende. Vuol dire accettare il fatto che le possiamo avere. Perché solo nel momento che accettiamo che le possiamo avere, solo in quel momento, le potremo guardare. Se mai accettiamo che noi abbiamo avuto un periodo in cui siamo stati davvero dei mascalzoni, mai potremo vedere veramente il periodo di mascalzonaggio che abbiamo passato, mai potremo vedere veramente il periodo in cui abbiamo venduto l’anima. E tutti noi, per un periodo più o meno lungo, credo, abbiamo venduto almeno un po’ di anima, in cambio di qualche rassicurazione o di qualche gratificazione. Per anima intendo la voce alta, la voce forte che sentivamo risuonare dentro di noi e che ci portava magari altrove rispetto a quello che voleva la mamma, il papà, il figlio, la figlia, il marito, la moglie, la nonna, la zia, l’amico, l’amica, il cugino, il maestro, il datore di lavoro, e così via.
Noi abbiamo venduto la nostra anima, tutti l’abbiamo venduta, chi di più chi di meno, chi più a lungo chi meno a lungo... Ma se non accettiamo l’idea che possiamo aver venduto la nostra anima, come potremo vedere quando, e come, l’abbiamo venduta?
Se ritroviamo i momenti in cui l’abbiamo venduta, possiamo portare l’attenzione sul fatto che l’abbiamo venduta e ci diamo dei lazzaroni, ci diamo dei cretini, ci diamo, insomma, dei personaggi squallidi, ma se, invece, portiamo l’attenzione sul fatto che, a un certo punto, ce la siamo ripresa, come spesso accade, possiamo improvvisare una danza di celebrazione nel salotto di casa.
Ora, il punto è che molti di noi l’anima la stanno ancora vendendo.
Vendere l’anima, lo ripeto, vuol dire vendere i propri valori forti, quello che sentiamo essere davvero importante per noi realizzare in questa esistenza limitata su questo pianeta, in cambio di tranquillità, pace relazionale di superficie, benessere economico… E quando si sta vendendo l’anima, non ci si può riconciliare con la propria storia, perché la storia appare completamente deformata. Se stiamo vendendo l’anima non essendone nemmeno consapevoli, non è possibile che guardiamo con serenità la nostra storia, perché siamo troppo attaccati a quel qualche cosa che ci viene, in cambio di ciò che stiamo vendendo.
Allora, prima ancora di riappacificarsi con la propria storia, c’è da verificare se stiamo vendendo l’anima o meno. Perché, se stiamo vendendo l’anima, non è proprio possibile neanche sapere qual sia stata esattamente la nostra storia, perché ne verrebbe completamente distorta.
Nel momento in cui ci si sente sufficientemente tranquilli da questo punto di vista, stiamo rispettando noi stessi, stiamo rispettando quella che percepiamo essere la nostra verità interiore. A questo punto, la riappacificazione con la nostra storia significa guardare con uno sguardo amorevole ciò che siamo stati, ciò che ci è successo nelle nostre relazioni, con tutte le persone, animali, ambienti, attività, che ci hanno circondato nella nostra vita, fin da quando eravamo piccoli e, per qualcuno di noi, fin da quando era dentro la pancia della mamma.
di Miten Veniero Galvagni