La libertà può essere intesa come una meta che possiamo raggiungere una volta che ci liberiamo da qualcosa che, in genere, si identifica con tutto ciò che ci impedisce di essere noi stessi e di seguire quella che a noi sembra essere la voce della nostra anima. Il primo passo indispensabile è quindi chiederci da che cosa ci vogliamo liberare, quali siano le componenti della nostra vita che ci impediscono di sentirci in una condizione di libertà, di possibilità interiore. Per ciascuno di noi le cose da cui liberarsi sono diverse, ma più o meno tutti sappiamo quali sono gli ostacoli che ci stanno impedendo non solo di seguire la voce della nostra anima, ma addirittura di esprimere la nostra personalità nel mondo.
Se però, un volta che li abbiamo individuati, ci limitiamo a eliminare questi ostacoli, è molto facile che torniamo a commettere i medesimi errori, ricreando la stessa gabbia dalla quale ci eravamo liberati. Può succedere che ci si liberi, ad esempio, dall’influenza dei genitori per poi creare, con il passare degli anni, altri tipi di legami molto simili, oppure ci si liberi da un partner particolarmente oppressivo, frustrante, noioso, per poi scegliere un altro partner ancora più terribile per quanto riguarda la capacità di instaurare un legame chiuso e soffocante.
Se non siamo consapevoli che essere liberi “da” qualcosa è solo il passo iniziale da compiere per essere liberi “per” qualcos’altro, non godremo a lungo la libertà, perché questa ci stancherà, si esaurirà in poco tempo. Affinché ciò non avvenga è necessario che la nostra meta diventi essere liberi “per”.
Liberarsi da qualcosa è sempre un’operazione che ci procura dolore e ci lascia delle ferite. Anche se ci leviamo dalle spalle uno zaino molto pesante, sentiamo comunque che ci viene a mancare un peso con cui ci eravamo identificati al punto da considerarlo, a torto, come una parte di noi. L’interruzione di ogni tipo di legame che avvertiamo come opprimente (con i genitori, con il partner, con gli amici, con un certo ambiente, con un sistema di idee…) inizialmente produce in noi una sensazione di benessere ma, allo stesso tempo, una nostalgia che può essere così struggente da farci essere tentati di rifluire, di tornare indietro a recuperare ciò che abbiamo abbandonato.
Per questo risulta molto importante avere molto chiaro, nella mente e nel cuore, “per” che cosa vogliamo essere liberi. Non ha senso, infatti, uscire da una gabbia in cui siamo stati prigionieri se non sappiamo dove andare; rischiamo di rimanere fermi sulla porta guardandoci attorno totalmente smarriti. Alcuni esseri umani, pur sentendosi prigionieri, pur avvertendo il senso di costrizione dovuto alla loro condizione e lamentandosi per questo, non riescono a uscirne. Arrivano magari fino alla porta della prigione ma, non vedendo con chiarezza a che cosa potrebbe servire loro la libertà, si interrogano: «Chi me lo fa fare di affrontare l’ignoto, quando qui dentro almeno sono al sicuro?». E tornano indietro.
L’unica garanzia affinché la libertà sia veramente evolutiva è data dalla nostra capacità di rispondere a questa domanda: «Per che cosa voglio essere libero? Che cosa me ne faccio della mia libertà?». Dalla nostra risposta riceveremo l’ispirazione e la luce che ci daranno l’energia necessaria per superare gli ostacoli che inevitabilmente incontreremo, liberandoci da ciò che pensavamo appartenerci. Solo nel momento in cui sottolineeremo dentro di noi che la libertà ci serve “per” riusciremo veramente a liberarci “da”.
Nella libertà, quindi, ci sono due aspetti: uno è relativo alla libertà “da”, e sottolinea gli ostacoli da superare; l’altro è relativo alla libertà “per”, e apre nuovi orizzonti. Come facilmente deducibile, la libertà “per” è inevitabilmente connessa alla responsabilità e questo rappresenta per molti un grande ostacolo. Essere liberi comporta una responsabilità di gran lunga maggiore dell’essere prigionieri. Non sarebbe spiegabile, altrimenti, il fatto che la maggior parte degli esseri umani continui a vivere in tante prigioni che possono essere rappresentate dal lavoro, dalla famiglia, da una particolare relazione o anche da certi modi ripetitivi di affrontare la vita e le sue difficoltà. Sembra quasi che, solo se vivono ingabbiati, solo se non hanno alcuna responsabilità verso se stessi, gli uomini e le donne si sentano sicuri. La responsabilità è demandata alla “mamma istituzione”, che protegge e dà la sicurezza di essere approvati, perché ci si trova su un terreno condiviso socialmente. Ci sono diversi tipi di mamme: mamma religione, mamma stato, mamma partito, mamma famiglia…
Scegliere la libertà ci pone necessariamente di fronte alla nostra responsabilità. Se ci libereremo da ogni tipo di condizionamento, vincolo, legame, se usciremo da tutte le gabbie volendo essere veramente liberi, ci ritroveremo improvvisamente soli di fronte all’universo, e saremo quindi profondamente responsabili di noi stessi e delle nostre azioni. Essere responsabili non significa essere passibili di punizioni nel caso di una nostra mancanza, bensì avere la possibilità di accettare la libertà o di rifiutarla per pigrizia o per paura.
Siamo sollecitati da moltissimi richiami («Ci piacevi più prima… se fai così, allora non ci vuoi bene…») a rinunciare alla nostra libertà. E se siamo particolarmente ricettivi ai rimproveri al punto da essere facili prede dei sensi di colpa, riusciremo al massimo a fare i pendolari tra la prigione e il bar all’angolo della strada: andiamo fino al bar, beviamo una birra sentendoci finalmente liberi, ma appena finita la birra diventiamo tristi pensando ai secondini che sicuramente stanno piangendo perché ce ne siamo andati.
Allora, visto che siamo tanto buoni e non possiamo permettere che degli esseri umani soffrano, torniamo indietro e bussiamo a quella porta; i secondini ci aprono e noi ci facciamo di nuovo chiudere in quella cella, ci mettiamo il nostro vestitino a righe, e aspettiamo che passi qualche giorno per tornare a lamentarci di non essere liberi. Poi, la prima volta che un secondino ci maltratta, perdiamo la pazienza ed evadiamo nuovamente. Ma, dopo la solita birra al solito bar, ci accorgiamo che fuori è tutto buio: non c’è nessuno che festeggia la nostra evasione complimentandosi con noi, anzi, pare proprio che a nessuno gliene freghi nulla, mentre invece i secondini sono sempre felici di rivederci. Così, siccome siamo inguaribilmente malati di desiderio di affetto, di amore, di attenzione e, talvolta, siamo fortemente condizionati dal fatto che gli altri approvino le scelte che facciamo e non stiano male per causa nostra, ci facciamo catturare dai sensi di colpa: non possiamo far soffrire il secondino; che senso ha la sua vita se si ritrova senza nemmeno un prigioniero a cui badare?
Se non abbiamo chiaro a che cosa ci servirà la libertà, se non perseveriamo nel porre l’attenzione al motivo che ci spinge a conquistarla, la tentazione di tornare in prigione sarà fortissima. La libertà comporta la responsabilità di essere se stessi. Libertà è acquisire la capacità di ascoltare i lamenti di dolore di altri esseri, senza per questo diventare sordi alla voce della propria anima. E la voce dell’anima non è la voce dell’autoaffermazione nel mondo, ma è quella voce che ci fa presente, in ogni istante, quanto ci stiamo allontanando da noi stessi nel momento in cui agiamo o parliamo in un certo modo.
Ciascuno di noi ha una sua verità interiore, che non è altro che il riflesso di quella Verità unica per tutti che possiamo percepire soltanto attraverso il nostro particolare modo di rifletterla. Quando contattiamo la verità dentro di noi, quando sentiamo che qualcosa per noi è veramente autentico, dobbiamo essere molto consapevoli che si tratta comunque di una verità parziale, deformata dal nostro specchio che non è mai completamente liscio e pulito. Nonostante il nostro specchio sia un pochino ondulato e impolverato, sta però riflettendo qualcosa di unico.
Libertà è la possibilità, la capacità, la volontà, di guardare la nostra verità interiore. La libertà è importante perché ci serve per scoprire chi veramente siamo, per conoscere aspetti di noi che non abbiamo mai voluto vedere, per condividere con chi amiamo (uno o centomila) la nostra autenticità, o per tenercela per noi se ci è sufficiente averla contattata.