Il "predicozzo" non ti appartiene, non ti è mai appartenuto. Nemmeno con me, quando ce ne sarebbe stato bisogno. Stare male nel dirmi così poche ma dure parole: non ti avevo mai sentito così.
Sentito perché ancora una volte sei costretto (o forse sarebbe successo ugualmente se fossi stata vicina) a dirmele al telefono, dopo un esordio di idiozie, di battute sull'ennesimo mio bidone dello scorso week end e del tuo dover ricorrere al metadone nel caso sabato sera, poche ore prima di cena, ti arrivi un mio messaggio con scritto "scusami, ma non ne ce la faccio a venire…".
Un tuo elogio alla mia intelligenza senza pari, che mi lusinga, ma nello stesso tempo arma a doppio taglio che permette di nascondermi così bene perfino ai miei occhi.
Ed il predicozzo stasera me l'hai fatto, per almeno 40 minuti, infreddolita sotto le miriade di coperte accatastate in questo freddo hotel in un meridione sperduto.
Perché solo tu piangi quando io sto male, ancora prima che inizi a farlo io. Perché non ti credevo così maturo ora, così sotto la superficie delle cose e della vita.
Perché non sapevo che tu sapessi guardarmi così dentro, ancora prima che inizi a farlo io alle prime avvisaglie di pericolo.
Straordinaria la vita, sul come ci abbia fatto rimanere lontani quando avremmo dovuto essere molto vicini. Sul come ci faccia essere così vicini ora che siamo lontani.
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